Luca Restivo - 20 ottobre 2022
Moby Prince, un mistero lungo trentuno anni: cosa è successo e chi sono i responsabili
Su RaiDue va in onda “Il mistero Moby Prince” che ripercorre la più grande tragedia della marina mercantile italiana.
Il 10 aprile 1991 il traghetto Moby Prince va a fuoco di fronte al porto di Livorno, dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Una tragedia in cui persero la vita 140 persone, tra passeggeri ed equipaggio, a bordo del traghetto diretto ad Olbia. Unico sopravvissuto: un giovane mozzo.
Dopo 31 anni di indagini, tre gradi di giudizio, decenni di investigazioni e due commissioni parlamentari d’inchiesta, il docufilm di RaiDue in onda questa sera alle 21.25 ricostruisce quella vicenda, regalando ai telespettatori una panoramica su “Il mistero Moby Prince”.
Un lavoro certosino di ricostruzione e partecipazione emotiva, focalizzatosi su falsità, insabbiamenti e accuse nei confronti del comandante Ugo Chessa.
Le illazioni che si sono rincorse in questi anni sono state tante. Si è parlato di errore umano, di equipaggio distratto dalla partita in tv, di nebbia fitta quando invece la serata era limpida e il mare calmo, di persone tutte morte nella prima mezz’ora dall’incendio, quando è certo che qualcuno sopravvisse fino all’alba del giorno dopo.
Il mayday del traghetto non fu accolto e non furono prestati i soccorsi. Il documentario di Salvatore Gulisano, prodotto da Simona Ercolani e Stand by me per Rai Documentari, con la partecipazione straordinaria di Salvo Sottile, racconta tutta la vicenda con numerose testimonianze: la più commovente quella di uno dei figli di Chessa, Angelo, che ha lottato una vita per avere giustizia ed è morto pochi giorni dopo l’intervista, a soli 56 anni per un tumore.
Moby Prince: cosa è successo 31 anni fa
L’incendio del Moby Prince è stato il più grave incidente occorso alla marina mercantile italiana e rivive su RaiDue nel docufilm “Il mistero Moby Prince” presentato in anteprima a Livorno alla presenza dei parenti delle vittime di quella tragedia.
Il documentario ripercorre 31 anni di battaglie per la verità e per far luce sulle responsabilità di una strage senza precedenti attraverso documenti inediti, repertori unici di Rai e di TeleGranducato e la relazione finale della Commissione pubblicata il 15 settembre 2022, che delinea una dinamica dell’impatto decisamente più vicina alla realtà storica, indicando alcuni indizi decisivi sulle responsabilità di quella notte.
La notte del 10 aprile 1991, di fronte al porto di Livorno, il traghetto Moby Prince, di proprietà della Nav.Ar.Ma., diretto ad Olbia, e con a bordo 141 persone sperona la petroliera Agip Abruzzo, intorno alle 22.30, ferma all’ancora, e prende fuoco. Nell’incendio muoiono 140 persone, si salva solo un giovane mozzo napoletano Alessio Bertrand.
Secondo le ricostruzioni ufficiali della Capitaneria di porto, del governo e degli organi giudiziari, la causa dello scontro sarebbe dovuta a una “ nebbia fittissima ” e all’imperizia del comandante Ugo Chessa. I soccorsi non sono mai arrivati al traghetto ma si concentrarono solo sulla petroliera.
Moby Prince: cosa è andato storto
Non è mai stato possibile stabilire quanto greggio sia stato versato sul Moby. Secondo l’ingegnere De Bene, nominato consulente di parte civile, si è trattato di una quantità compresa tra le 100 e le 300 tonnellate.
Il 28 maggio 1998 la nave, rimasta ormeggiata nel porto di Livorno e posta sotto sequestro probatorio, affondò; fu poi recuperata e avviata alla demolizione in Turchia. A gennaio 2018 è stata pubblicata la relazione finale della seconda commissione parlamentare d’inchiesta.
Nel corso di questi 31 anni ci sono state molte indagini e tre gradi di giudizio. Si è parlato di errore umano da parte del comandante Ugo Chessa, ma si è fatta menzione anche del malfunzionamento di alcuni apparati, della velocità troppo elevata in uscita, della mancata attenzione alle procedure di uscita dal porto.
Un aspetto molto dibattuto è stato quello legato alla presenza della nebbia che avrebbe causato una scarsa visibilità e quindi l’urto con la petroliera. La testimonianza dell’unico sopravvissuto nel corso del processo di I grado viene assunta, unitamente al parere della maggior parte dei consulenti tecnici, dai giudici del Tribunale di Livorno, che scrivono:
“...Conclusiva e risolvente in ordine alla presenza di nebbia oscurante la petroliera è infine la deposizione del mozzo Bertrand Alessio ha riferito di aver dopo l’impatto incontrato nel corridoio cabine passeggeri il timoniere Padula che gli disse: “c’era la nebbia e siamo andati contro un’altra nave”...”
I figli del Comandante Chessa, Angelo e Luchino, costituitisi in associazione, hanno sollevato dei dubbi circa la presenza della nebbia. In un filmato amatoriale trasmesso dal TG1 all’epoca dei fatti, sembra evidente che la visibilità nel porto fosse quantomeno buona.
L’ipotesi della nebbia è stata comunque smentita da varie testimonianze, tra cui quella rilasciata in tribunale dal capitano della Guardia di Finanza Cesare Gentile. A capo di una motovedetta dei soccorritori uscita dal porto di Livorno intorno alle 22:35 ha dichiarato che “in quel momento c’era bellissimo tempo, il mare calmissimo e una visibilità meravigliosa”.
Moby Prince: la relazione della Commissione d’inchiesta e i soccorsi mai arrivati
Secondo la relazione della seconda commissione d’inchiesta, approvata il 15 settembre 2022, la rotta della Moby Prince sarebbe stata tagliata da un’altra nave, costringendo il traghetto a una brusca virata, di circa 30°, che lo condusse contro la petroliera.
Secondo l’inchiesta, quest’ultima sarebbe stata ancorata in posizione irregolare (posizione individuata tramite foto satellitari statunitensi desegretate nel 2018) ed era avvolta in una nube di vapore acqueo dovuta alla probabile avaria dei sistemi idraulici. Inoltre, pochi minuti prima era stata colpita da un blackout che la rendeva di fatto invisibile.
Il fascicolo Moby Prince venne riaperto due volte e fu proprio la relazione della seconda Commissione parlamentare d’inchiesta a dimostrare che quella notte nella rada non c’era nebbia, che il comandante non sbagliò e che i soccorsi scelsero deliberatamente di salvare gli uomini dell’Agip Abruzzo e non i passeggeri della Moby Prince, di cui una parte sopravvisse a bordo, a giudicare da tutte le evidenze, per un tempo compatibile con un intervento di soccorso dell’autorità pubblica: un soccorso mai arrivato.
Moby Prince: le navi militari
È stato appurato dai verbali e dai registri che molte navi statunitensi transitavano e sostavano nel Porto di Livorno nella notte dell’incidente. La vicinanza della base statunitense di Camp Darby di fatto rendeva frequente la presenza di navi statunitensi nel porto.
Ma nella notte in questione, molte navi militari erano ferme in rada sotto falso nome o con nomi di copertura, si presume eseguendo attività militari che non risultarono autorizzate dalla prefettura come previsto dalla legge italiana.
Quella sera a Livorno c’erano numerose navi militarizzate cariche di armi e il Moby Prince ha cambiato rotta per scansare una di quelle. Ma a quale nazione apparteneva?
Moby Prince: il docufilm
Il docufilm di RaiDue è incentrato sulle testimonianze di esponenti delle Istituzioni, avvocati, giornalisti ed esperti del caso e ovviamente dei familiari delle vittime e del figlio del comandante del Moby Prince, Angelo Chessa, scomparso pochi giorni dopo l’intervista.
Per la prima volta rilascia anche una lunga intervista sulla tragedia Vincenzo Onorato, al tempo giovane armatore del traghetto e ancora oggi Presidente della Moby Lines; oltre alle testimonianze di Luca Salvetti, sindaco di Livorno, all’epoca giornalista di Granducato Tv, che fu tra i primi ad arrivare in porto la notte del disastro; Gregorio De Falco, ex capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno al tempo del naufragio della Costa Concordia ed Enrico Fedrighini, giornalista e autore del libro “Moby Prince: un caso ancora aperto”.
E ancora i familiari delle vittime: oltre ad Angelo Chessa, il fratello Luchino Chessa, attuale Presidente dell’Associazione 10 Aprile, Paola Bruno, madre del giovane passeggero Alberto Bisbocci e Francesca Sini, figlia del passeggero Antonio Sini, che hanno lottato per tutta la vita con l’Associazione 140 per cercare verità e giustizia.
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