Perché c’è la guerra in Medio Oriente?

Perché c'è la guerra in Medio Oriente?

La guerra in Medio Oriente. Conflitti storici, economici, religiosi e territoriali che spargono sangue ancora nel 2024. Perché?

L’attuale situazione del Medio Oriente si è innescata con l’attacco terroristico di Hamas verso Israele del 7 ottobre 2023. A poco più di un anno dall’evento l’idea di una tregua si allontana sempre di più, mentre il conflitto si espande causando l’apprensione della comunità internazionale. L’Israele ha attaccato il Libano e la Siria, mentre l’Iran ha colto la palla al balzo per colpire Tel Aviv. Il conflitto tra Israele e Palestina è infatti parte del più ampio conflitto arabo-israeliano, che ha radici profonde nella storia del Medio Oriente.

Una guerra millenaria, che si è protratta nel tempo tra armistizi effimeri ed eccidi, con moventi religiosi, politici ed economici che nessun impegno dei promotori di pace è riuscito a sradicare. Migliaia di anni (almeno a livello territoriale), un numero impressionante di morti e vite rovinate, mai nessuna pace davvero estesa e duratura. Certo, dall’ostilità e dalle rappresaglie fino alla crescente tensione attuale, con veri e propri attacchi militari, c’è stata una notevole escalation.

Districarsi tra le svariate vicende non è cosa semplice, proprio perché a livello territoriale le terre del Medio Oriente hanno visto ben poca pace, a partire da epoche lontane dalla formazione degli Stati che ora conosciamo. Per semplificare, partiamo dai fatti che hanno portato alla proclamazione dello Stato di Israele nel 1948, perché proprio da questo momento le tensioni hanno assunto le connotazioni politiche e le motivazioni che permangono attualmente.

La storia del conflitto in Medio Oriente

La questione palestinese, nome del conflitto israelo-palestinese, più localizzato grazie agli accordi di pace tra Israele e alcuni Stati arabi, risale alla dominazione britannica in Palestina, iniziata nel 1917. La dominazione britannica ha incoraggiato la divisione, promettendo territori al popolo ebraico, principalmente con lo scopo di governare più agevolmente l’area.

Proprio alla fine del XIX secolo si rafforza il sionismo, l’ideologia politica basata sull’autodeterminazione del popolo ebraico e sul diritto di uno Stato ebraico in Palestina (Sion è il nome della collina di Gerusalemme), la Terra santa contesa dalle religioni monoteiste più influenti del mondo: Ebraismo, Cristianesimo e Islam.

La convivenza religiosa, inasprita dalle divisioni interne (tra cui prima di tutto la spaccatura del mondo islamico tra sciiti e sunniti) fa della Palestina un luogo di rivolte sanguinose e rappresaglie. Una convivenza forzata e non priva di rancori, dove ognuno ritiene di avere la priorità sull’altro.

È infatti in Palestina che si forma il popolo ebraico nel primo millennio a.C., costretto alla Diaspora (la prima di tante) nel 70 d.C., quando Gerusalemme fu assediata (e il tempio distrutto) per sedare la rivolta giudaica contro l’invasione di Roma. Nel VII secolo d.C., poi, la Palestina viene conquistata dagli arabi, da poco convertiti all’Islam.

Alla fine dell’Ottocento l’ebreo austriaco Theodor Herzl fonda - anche se sarebbe più corretto dire “formalizza” - il movimento sionista, con l’intento di ridare la terra agli ebrei, negli anni perseguiti in modo violento e crudele. La Palestina, all’epoca parte dell’Impero Ottomano, diventa così la destinazione di un ingente numero di ebrei. Questi ultimi, come premesso, riceveranno poi l’appoggio britannico per guadagnare l’indipendenza.

Il Regno Unito voleva infatti appoggio contro l’Impero Ottomano e non rispettò le promesse, acquisendo la Palestina in seguito alla Prima guerra mondiale su mandato della Società delle nazioni e favorendo in un primo momento l’immigrazione ebraica, che portò ai primi conflitti armati con gli arabi e fece passare i britannici a meccanismi di repressione. La Seconda guerra mondiale non fece che inasprire le ostilità, rafforzando la convinzione sionista di avere diritto a uno Stato ebraico dove vivere in sicurezza.

Per approfondire: Quanto è forte Israele? Armi, uomini, cosa sappiamo

Così, le Nazioni Unite incoraggiarono la partizione della Palestina per appianare le ostilità e favorire una pacifica vicinanza tra il popolo arabo e quello ebraico, senza riuscire nell’intento. Nel 1948 il Regno Unito ritira le truppe, ormai incapace di controllare il territorio, anche in seguito al rifiuto di partizione degli arabi. Questi ultimi, d’altro canto, non hanno vissuto secoli rosei. Oltretutto, avevano parteggiato per il Regno Unito durante la guerra in cambio dell’indipendenza, promessa disattesa brutalmente.

Così, mandati via i britannici, il leader della comunità ebraica David Ben Gurion proclama lo Stato di Israele. I paesi arabi Egitto, Siria, Giordania e Iraq attaccarono immediatamente lo Stato ebraico, che riuscì tuttavia a guadagnare terreno, oltre a una parte dell’ambita città di Gerusalemme. Israele ebbe la meglio e circa 700.000 arabi furono costretti a lasciare la terra, rifugiandosi nei Paesi circostanti e negli spazi non intaccati dalle forze israeliane. Gradualmente, così, si forma un’identità palestinese distinta da quella israeliana e distinta da quella degli altri Stati arabi.

Nuove guerre scuotono il Medio Oriente da quel momento, vedendo un’ulteriore espansione di Israele. Durante la Guerra dei 6 giorni del 1967, infatti, Israele acquisisce Gerusalemme Est e la Cisgiordania dalla Giordania, la Striscia di Gaza e la Penisola del Sinai dall’Egitto, il Golan dalla Siria. Con gli accordi di pace degli anni successivi, l’Egitto riottenne il Sinai.

Nel frattempo, la popolazione palestinese cominciò a lottare personalmente contro Israele, attraverso l’Organizzazione per la liberazione della Palestina guidata da Yasser Arafat. Quest’ultimo firmò un accordo con il premier israeliano Yitzhak Rabin di riconoscimento reciproco nel 1993, impegnandosi alla creazione di uno Stato palestinese.

Eppure, non ci fu mai la pace, perché vennero tralasciate tutte le problematiche che avevano diviso le popolazioni a lungo, cominciando dalla spartizione di Gerusalemme. Ostilità e negoziati di pace continuano a intervallarsi, impoverendo le terre e rendendo la popolazione facile bersaglio di qualsivoglia attacco e repressione, precisamente il contrario di quanto auspicato.

Leggi anche: Quanto è forte il Libano? Cosa sappiamo sul suo esercito

Perché c’è la guerra in Medio Oriente?

Dopo una ricostruzione (necessariamente sommaria) dei fatti storici che hanno portato ai conflitti in Medio Oriente, con particolare riferimento a quello arabo-israeliano, è più semplice tratteggiare le motivazioni più importanti che caratterizzano i conflitti. Dovrebbe intanto apparire evidente che la matrice religiosa è una componente marginale. Le differenti fedi religiose hanno semplicemente inasprito il sentimento reciproco e le persecuzioni patite hanno accresciuto rancori, timori e instabilità.

La caratteristica principale delle guerre è la contesa del territorio, perché sulla stessa area si sono trovati a convivere popoli differenti, con identità ben distinte e vissuti traumatici. La disputa territoriale è stata via via aggravata dalle rappresaglie reciproche e dalle sofferenze patite da entrambi i fronti, su una terra che entrambi considerano propria per storia, patti e anche religione. Non di rado le guerre religiose hanno nascosto intenti più materiali e in questo caso anche il nazionalismo viene mitigato da ragioni economiche, soprattutto guardando allo sfruttamento di risorse naturali (in particolare acqua, gas e petrolio).

Sebbene non rappresenti l’unica motivazione della guerra, in cui la componente nazionalistica rimane preponderante, l’appropriazione indebita delle risorse - di pari passo con gli insediamenti - di Israele è una realtà parallela del conflitto nient’affatto trascurabile. Componente economica che non ha mancato di coinvolgere diversi Stati estranei al conflitto.

Per amara ironia della sorte, oggi la terra palestinese è stata impoverita e conquistare l’appoggio internazionale è ancora più fondamentale per le parti in conflitto. Come in ogni altro conflitto della storia, comunque, al di là delle motivazioni, le conseguenze vengono patite dalla popolazione civile. La guerra tra Israele e Hamas ha mietuto in poco più di un anno decine migliaia di vittime, con una maggioranza palestinese, dovuta più che altro alla metodologia usata.

Come in passato, ma con attacco invertito, la guerra sta ora coinvolgendo altri territori, facendo temere sempre più per la stabilità internazionale. La guerra sta diventando almeno regionale, ma l’Iran è a un passo dal pieno coinvolgimento. Se ciò dovesse scatenare un maggiore supporto degli Stati Uniti a Israele, inevitabilmente in conflitto si espanderebbe a macchia d’olio.

In tal proposito l’Italia è impegnata con le Nazioni Unite per cercare di sedare il conflitto, con il pericolo diretto dei militari impegnati nelle missioni di pace in Medio Oriente, come Unifil. Proprio la perseveranza della missione, che ha visto importante partecipazione degli italiani fin dall’inizio, ha permesso di contenere la guerra ed evitare la completa invasione del Libano, che avrebbe scatenato una rapida e sanguinosa escalation.

Leggi anche: Cosa succede se l’Iran attacca Israele?