Paola Gentile - 15 settembre 2022
Quanto guadagnano deputati e senatori: gli stipendi dei parlamentari
Scopriamo insieme a quanto ammonta la busta paga mensile di un deputato e di un senatore italiano.
Un tema da sempre molto divisivo, quello che riguarda gli stipendi dei parlamentari. C’è chi dice che guadagnano troppo, chi il giusto e nel corso degli anni sono state molte le proposte avanzate per la riduzione dello stipendio dei deputati e senatori.
Malgrado la buona volontà, però, non è stato fatto nulla per arginare il problema, forse non ritenuto così importante, senza dubbio non rilevante a tal punto da trovare spazio nei programmi elettorali.
Secondo uno studio inglese condotto sugli stipendi dei parlamentari in Europa, il parlamento italiano costa ai contribuenti circa 120.500 sterline all’anno che corrisponde a 138.620,55 euro l’anno. I nostri parlamentari percepiscono il doppio dei colleghi inglesi che guadagnano 66.000 sterline, molto più dei politici tedeschi e francesi e sei volte tanto rispetto agli spagnoli.
Alle soglie delle elezioni politiche 2022 e tenuto conto che il nuovo Parlamento risentirà del taglio dei parlamentari, vediamo nello specifico quanto guadagnano deputati e senatori, dando un’occhiata a tutte le voci che compongono la busta paga.
Lo stipendio dei parlamentari
Sono tanti coloro i quali sognano di diventare deputati o senatori e accaparrarsi uno scranno alla Camera o al Senato.
Oltre all’amore per la politica e le Istituzioni, ad animare le scelte è molto spesso lo stipendio, ritenuto da alcuni esagerato, che i parlamentari guadagnano alla fine del mese.
Attualmente, i deputati hanno diritto ad un’indennità netta di 5.000 euro al mese più una diaria di 3.503,11 euro e un rimborso per spese di mandato pari a 3.690 euro. A questi si aggiungono 1.200 euro annui di rimborsi telefonici e da 3.323,70 fino a 3.995,10 euro ogni tre mesi per i trasporti.
Facendo un rapido calcolo, la busta paga mensile di un deputato è di: 13.971,35 euro.
I senatori ricevono un’indennità mensile lorda di 11.555 euro. Al netto la cifra è di 5.304,89 euro, più una diaria di 3.500 euro a cui si aggiungono un rimborso spese di mandato pari a 4.180 euro e 1.650 euro al mese come rimborsi forfettari tra telefono e trasporti.
Quindi, lo stipendio mensile di un senatore è di 14.634,89 euro, senza considerare le eventuali indennità di funzione.
Deputati e senatori hanno diritto anche ad un assegno di fine mandato, pari all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità moltiplicato per il numero degli anni di effettivo mandato.
Quando si è tentato di ridurre lo stipendio dei parlamentari
Alla sua prima legislatura in cui ha avuto una rappresentanza parlamentare, il Movimento 5 Stelle ha presentato una proposta di legge per dimezzare almeno le indennità parlamentari, che rappresentano una delle voci di spesa che pesa di più nel bilancio finale.
Un ulteriore tentativo di ridurre lo stipendio dei parlamentari c’era stato nel 2011, con il governo Monti che incaricò una Commissione di livellare le retribuzioni delle cariche pubbliche alla media europea. All’epoca l’Italia viveva un periodo di forte crisi, con lo spread a percentuali altissime. Ma neppure quella situazione di forte instabilità (abbiamo rischiato il default) convinse i parlamentari a votare per una riduzione e anche quell’iniziativa si concluse con un nulla di fatto.
Qualora fosse passata, la riforma costituzionale del governo Renzi (ricordate il referendum il cui esito negativo segnò la fine dell’esecutivo guidato dall’ex enfant prodige del Pd?) avrebbe eliminato le indennità dei senatori. In questi giorni sta circolando un documento in Parlamento circa la necessità di concludere “il processo di armonizzazione delle discipline relative al trattamento giuridico ed economico dei senatori e dei deputati in vista della creazione dello status unico dei parlamentari” sembrerebbe voler salvare stipendi e rimborsi.
Con il primo governo Conte, i grillini sono tornati alla carica sul tema, proponendo uno stipendio da 3.500 euro più una diaria da 3.000 euro, ma la Lega di Salvini, all’epoca alleato di governo, si oppose poiché la misura non era presente in maniera più esplicita nel contratto gialloverde.
Perciò, nonostante i tentativi, tutto è rimasto esattamente com’era.
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