Paola Gentile - 21 ottobre 2022
Riforma delle pensioni: uscita a 58 anni con almeno 35 di contributi, l’ipotesi del governo Meloni
Il governo Meloni starebbe pensando ad una proroga di Opzione donna e all’introduzione di Opzione uomo, ma la Lega pressa per Quota 41, ma poco sostenibile.
Uno dei temi caldi che dovrà affrontare l’esecutivo Meloni, che a breve si insedierà alla guida del Paese, è quello legato alle pensioni. La riforma delle pensioni suscita l’interesse della platea dei lavoratori e la nuova maggioranza sta già lavorando su come superare lo scalone che, in assenza di interventi, si creerebbe dal 1° gennaio 2023 con la scadenza di Quota 102, Opzione donna e ape sociale.
La nuova ipotesi al vaglio è “Opzione uomo”, vale a dire con un’uscita a 58-59 anni di età con almeno 35 anni di contributi, con un ricalcolo dell’assegno con il sistema contributivo anche per gli uomini, adesso vale solo per le lavoratrici che propendono per “Opzione donna”, a scadenza entro la fine dell’anno.
L’obiettivo della maggioranza di centrodestra è quello di rendere la riforma Fornero più flessibile, dato che cancellarla del tutto non pare ad oggi una strada percorribile, puntando però ancora sul sistema contributivo: il vero pilastro del nostro sistema pensionistico.
Se Matteo Salvini insiste su Quota 41 per tutti, Giorgia Meloni è più favorevole ad Opzione uomo. A seconda di quale linea si prevarrà, c’è un elemento che accomuna entrambe e che potrebbe rivelarsi una vera e propria mannaia: le poche risorse a disposizione.
Con la legge di Bilancio 2023 ci saranno una serie di emergenze da affrontare, dal caro energia all’aumento degli stipendi e l’obiettivo è dare vita ad una riforma delle pensioni sostenibile. Dato che Quota 41 non risponderebbe al requisito, Repubblica riporta che Meloni sta pensando di estendere l’attuale Opzione donna anche agli uomini, in modo da consentire loro di andare in pensione prima del tempo previsto, ossia a 58 anni, accettando un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno pensionistico.
Opzione donna: in cosa consiste
L’Opzione donna è una misura che riguarda tutte le lavoratrici, sia dipendenti che autonome, e consente di andare in pensione a 58 anni di età (59 anni nel caso delle lavoratrici autonome), a patto di aver maturato 35 anni di contributi.
Se una lavoratrice accede alla pensione con Opzione donna deve fare i conti con una penalizzazione sull’assegno, dal momento che questi viene ricalcolato interamente con le regole del contributivo.
Come abbiamo imparato, il sistema retributivo si applica per la parte di contributi antecedente al 1° gennaio 1996 (o 1° gennaio 2012 in alcuni casi), ed è più vantaggioso rispetto al contributivo; ragion per cui un ricalcolo interamente con il contributivo comporta una riduzione dell’assegno che a seconda dei casi (molto dipende da quanti sono gli anni di contributi che riferiscono al retributivo) può portare a una penalizzazione del 30%.
C’è da rivelare anche il dato tale per cui con Opzione donna la pensione non decorre immediatamente dopo l’acquisizione del diritto. È prevista una finestra mobile molto ampia tale per cui per le lavoratrici dipendenti la pensione decorre dopo 12 mensilità e per le autonome addirittura dopo 18 mesi.
Per poter accedere ad Opzione donna nel 2022 occorre aver maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2021. Ad oggi, possono accedervi solo le nate entro il 1963 (1962 per le autonome) e si sta cercando di ampliare la platea almeno alle nate nel 1964, ma al momento è tutto fermo.
Opzione uomo: cos’è
Il governo Meloni potrebbe sia prorogare Opzione donna, in scadenza alla fine dell’anno, e introdurre Opzione uomo. Entrambe potrebbero essere delle misure economicamente sostenibili, visto che il costo del pensionamento anticipato lo ripaga la penalizzazione conseguente al ricalcolo dell’assegno.
Opzione uomo garantirebbe l’uscita dal lavoro a 58 anni di età con almeno 35 anni di contributi, con un ricalcolo dell’assegno pensionistico con il metodo contributivo. Opzione uomo darebbe flessibilità e sostenibilità alla futura riforma delle pensioni.
Quota 41 con soglie di età
Oltre alla proroga di Opzione donna e all’introduzione di Opzione uomo, sul banco c’è anche l’ipotesi Quota 41 per tutti, slogan della Lega di Salvini in campagna elettorale.
Come riporta pensionioggi.it, la novità si abbinerebbe alla proposta di ridurre a 41 anni il requisito contributivo per l’accesso alla pensione anticipata (cioè con la massima anzianità contributiva) introducendo però un’età anagrafica minima di (almeno) 62 anni.
Secondo le stime, infatti, introdurre Quota 41 senza vincoli - consentendo a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi - costerebbe, una volta a regime, 12 miliardi di euro in più ogni anno.
Certo il rinnovo di un anno dell’ape sociale, l’assegno di accompagnamento alla pensione di vecchiaia per i lavoratori in determinati profili di tutela (disoccupati, invalidi, caregivers e addetti a mansioni gravose) che vale sino ad un massimo di 1.500€ lordi al mese.
I sindacati contrari alla riduzione dell’assegno
L’ipotesi di una riduzione dell’assegno pensionistico è una strada che al segretario della Cgil Maurizio Landini non piace per nulla: “Mandare in pensione le persone riducendogli l’assegno non mi pare sia una grande strada percorribile”, ha affermato a margine dell’assemblea nazionale dei delegati della Fillea-Cgil a Milano.
Di tutt’altra natura il giudizio del presidente dell’Inps Pasquale Tridico a proposito della riforma delle pensioni e dell’ipotesi quota 58-59 anni con 35 di anzianità per gli uomini con un assegno più basso: “Credo che tutte queste riforme siano orientate a un principio giusto, ovvero quello di garantire una certa flessibilità in uscita rimanendo ancorati tuttavia la modello contributivo”.