Luna Luciano - 19 marzo 2022
Aumenta la spesa militare in Italia: raggiunto il 2% del Pil, cosa succede adesso
È stato approvato dalla Camera dei deputati l’ordine del giorno per il Decreto Ucraina che impegna il Governo ad aumentare le spese per la Difesa verso il traguardo del 2% del Pil. Ecco cosa succede adesso.
Aumenterà la spesa militare fino al 2% del Pil. È questo il traguardo imposto dalla Camera dei deputati, quando il 16 marzo ha approvato l’Ordine del giorno (Odg) relativo al Decreto Ucraina, il quale impegna il Governo Draghi a incrementare man mano le spese per la Difesa verso la soglia del 2% del Prodotto interno lordo.
Una scelta questa che, insieme a quella di inviare le armi in Ucraina, pone in evidenza come le forze internazionali guardino con sempre maggiore preoccupazione ciò che sta accadendo in Ucraina. Il documento è stato avanzato dalla Lega e sottoscritto da diversi deputati del Pd, Forza Italia, Italia viva, M5S e Fratelli d’Italia, ed è stato poi approvato con larga maggioranza, registrando ben 391 voti favorevoli su un totale di 421 presenti, tra cui 19 contrari.
Con l’intensificarsi del conflitto, davanti alla scelta di aumentare le spese militari fino al 2%Pil, è naturale domandarsi quindi cosa succederà adesso e come saranno impegnati i nuovi fondi. Urge quindi fare chiarezza sul perché della decisione e cosa ne consegue.
Perché l’Italia aumenta la spesa militare fino al 2% del Pil?
Non è solo l’Italia ad aumentare la spesa militare. A oggi l’Italia destina l’1,4% del Pil alla Difesa, trovandosi quindi in linea con la media europea. Un andamento decrescente che ha avuto inizio con il secondo dopoguerra, quando i Paesi membri della Nato hanno avviato un lento processo che li ha portati dal 1960 a destinare non più il 4% del proprio PIL al settore, bensì l’1,5% (2020).
Questa tendenza a diminuire la spesa militare è stata però messa in discussione con l’indicazione della Nato di aumentare la spesa fino al 2% del Pil. Indicazione che è derivata prima dall’accordo informale del 2006 dei ministri della Difesa dei Paesi membri dell’Alleanza e confermato poi al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014 in Galle, quando è stata concordata la soglia come obiettivo da raggiungere entro il 2024.
Tuttavia, queste indicazioni non sono mai state ratificate dal Parlamento italiano e quindi non costituiscono un obbligo vincolante per il Bilancio dello Stato. Eppure, sembra che per l’Italia sia arrivato il momento di aumentare le spese militari, come spesso invocato dallo Stato maggiore dell’Esercito, forse anche perché è risultato che l’Esercito italiano è meno efficiente di quanto ci si aspettasse.
Aumenta la spesa militare fino al 2%: cosa significa per l’Italia?
Stando al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, la direzione presa implicherà un “passaggio graduale” dai 25 miliardi di euro annuali impiegati attualmente (circa 68 milioni al giorno) si raggiungerà il tetto di almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno). Una spesa importante sulla quale probabilmente ha influito la situazione attuale.
Secondo il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè il conflitto russo-ucraino ha influito dando “finalmente percezione, una consapevolezza nuova e diversa rispetto allo scenario che stiamo vivendo e a una sorta di nuovo ordine mondiale rispetto al quale dobbiamo misurarci”. Un ordine mondiale che, secondo Mulè, può portare a un rimescolamento delle alleanze, e che presuppone una capacità difensiva. La scelta di aumentare la spesa militare della Camera segue quindi un criterio di credibilità che l’Italia deve acquisire “non solo in ambito Nato, ma anche in ambito extra alleanza atlantica”.
Aumenta la spesa militare fino al 2% del Pil: cosa accadrà adesso?
È ancora presto per dire cosa succede adesso con l’aumento della spesa militare fino al 2% del Pil. Sicuramente un aumento della spesa implica maggiori risorse per gli Armamenti dell’Esercito italiano.
Stando a quanto riportato dal sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulè, è ancora prematuro pensare all’impiego di queste risorse. Tutto dipenderà dalla quantità delle risorse. Certamente, infatti, va ricercata una qualità della spesa che arricchisca tecnologicamente e risponda alle esigenze delle Forze armate.
Basti pensare che tra i 125 armati, di cui dispone l’Esercito, meno della metà sono operativi, o ancora i droni da impiegare in guerra sono tutti disarmati.
Secondo Mulè, infatti, è chiaro che in due domini, quello aereo e quello terrestre, ci siano dei progetti che necessitano di investimenti importanti: l’aereo di sesta generazione, il Tempest, e dall’altra al carro armato europeo sul quale l’Italia deve dare un suo contributo fondamentale “soprattutto in termini di politica industriale”.