Aurora Marinaro - 25 marzo 2024
Allarme suicidi nelle carceri, cosa fa il governo?
Una morte ogni 3 giorni di suicidio nelle carceri italiane, tra detenuti e Polizia penitenziaria. Osapp chiede un intervento immediato per far fronte all’emergenza.
“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri” scriveva Voltaire, viene da domandarsi cosa avrebbe da dire oggi sugli istituti penitenziari italiani. Uno dei parametri decisivi sulle condizioni di vita nelle carceri sono le morti, in particolare quelle da suicidio. Gli istituti italiani non hanno di solito dati incoraggianti, ma per quest’anno - e siamo soltanto a marzo - c’è un peggioramento allarmante.
Dall’inizio dell’anno si sono tolti la vita 26 detenuti, di cui l’ultima tragedia è avvenuta proprio ieri, nella casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, a cui si aggiunge un suicidio avvenuto nel Centro permanente di rimpatrio di Roma. 9 morti al mese, contro la media di meno di 6 dell’anno passato, seppur drammatica. Da gennaio a oggi, oltretutto, hanno perso la vita per altre cause 37 detenuti (per malattia, overdose, omicidio e cause da accertare).
Lo riporta il dossier aggiornato abitualmente “Morire di carcere” a cura di Ristretti.it. Ma non è tutto. Anche l’altra parte della vita penitenziaria, gli agenti di polizia, è penalizzata dalle condizioni disumane delle carceri e dalla carenza di organico. Centinaia di aggressioni subite ogni mese dal personale, 3 poliziotti che si sono suicidati dall’inizio del 2024 e la tensione che aumenta con la crescente circolazione di sostanze stupefacenti nelle celle.
Osapp, urge l’intervento del governo
È OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) a sollecitare l’intervento dello Stato per far fronte in modo concreto ai problemi che affliggono le carceri italiane, che gravano sul benessere dei lavoratori e su quello dei detenuti, minando nello stesso tempo la sicurezza sul lavoro, la rieducazione e il reinserimento sociale affidato alla pena detentiva. Una disattenzione, per così dire, che mina l’intero sistema di Giustizia del nostro Paese.
Leo Beneduci, Segretario generale dell’OSAPP, ha in particolare individuato i seguenti inquietanti elementi:
- L’uso di alcool e droghe nelle carceri è in preoccupante crescita e vede anche sostanze nuove e difficili da rinvenire, tra cui “Spice” e “Fentalyn” (droghe sintetiche diffuse negli istituti di pena di tutto il mondo, estremamente pericolose ma facili da occultare, così come ulteriori farmaci per il trattamento del dolore tra cui la Buprenorfina);
- la promiscuità delle sezioni detentive, in cui i detenuti comuni convivono con soggetti a elevata pericolosità e/o problemi di natura psichiatrica. Mancano così le attenzioni corrette per il controllo dei detenuti, nonché per la somministrazione dell’assistenza sanitaria necessaria e si alimentano le tensioni nella popolazione carceraria;
- la carenza di organico e i derivati turni gravosi e insostenibili, che mettono a dura prova il benessere psicofisico della Polizia penitenziaria e mina l’efficienza dell’attività di vigilanza;
- la mancanza di presidi di natura psicologica e sanitaria per detenuti e poliziotti penitenziari;
- lo stato di degrado degli ambienti e dei servizi;
- la povertà di mezzi;
- la mancanza di adeguata formazione del personale;
- la relazione tra tossicodipendenza e criminalità organizzata che, per i problemi citati, non è sottoposta a monitoraggi efficaci sui rapporti e sugli scambi di denaro.
Osapp riconosce l’assoluta gravità e delicatezza di queste tematiche, scegliendo comunque di segnalare i fatti e sollecitare un intervento. Il carcere ha la funzione costituzionale di rieducare i detenuti e promuoverne il reinserimento sociale, ma si sta rivelando sempre più criminogeno e deleterio, oltre che letale: è inaccettabile il numero di suicidi, tanto tra i detenuti quanto tra gli agenti (riguardo ai quali i dati potrebbero però mancare alcuni aggiornamenti), oltre che il tasso di morte generalmente elevato e dovuto in buona parte alle carenze già viste.
Per questo “non accettiamo l’inesplicabile assenza di iniziative idonee” né il “fatalismo inerte che appare coinvolgere anche i principali organi politici dello Stato” scrive Beneduci. In effetti, nemmeno le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno sortito l’effetto sperato, le condanne all’Italia non hanno promosso il cambiamento atteso, nemmeno graduale, verso un sistema carcerario rispettoso dei diritti umani e coerente con la sua funzione costituzionale.
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