Paola Gentile - 16 gennaio 2023
Chi è e cosa ha fatto Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss di Cosa Nostra
Il boss Matteo Messina Denaro, latitante da trent’anni, è stato arrestato a Palermo nella clinica privata “Maddalena” dove si stata sottoponendo a cure mediche.
È stato arrestato l’ultimo boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Latitante da trent’anni è stato catturato dai Carabinieri del Ros di Palermo mentre si trovava presso una clinica privata del capoluogo siciliano per sottoporsi a cure oncologiche per un cancro.
Soprannominato “la primula rossa”, ma anche “u siccu” e “Diabolik”, Matteo Messina Denaro è stato uno degli uomini di fiducia del boss Totò Riina ed ha partecipato ai più efferati crimini mafiosi della storia d’Italia.
A trent’anni dall’arresto di Totò u curtu, Denaro viene assicurato alla giustizia. Quando sono scattate le manette, il boss latitante non ha opposto resistenza.
L’inchiesta che ha condotto alla cattura del capomafia di Castelvetrano, in provincia di Trapani, è stata coordinata dal procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.
La premier Giorgia Meloni ha commentato così l’arresto del superlatitante: “Una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia”.
Ma chi è Matteo Messina Denaro, cosa ha fatto, com’è riuscito a vivere in latitanza così a lungo e come si è svolto il blitz che lo ha consegnato alla giustizia.
Chi è Matteo Messina Denaro
Matteo Messina Denaro ha dei natali illustri in fatto di criminalità organizzata. Nasce a Castelvetrano il 26 aprile 1962 e suo padre, Ciccio, era lo storico alleato dei corleonesi di Totò Riina.
Divenuto capo mandamento del suo paese e rappresentante indiscusso della mafia nella provincia di Trapani, Matteo Messina Denaro ha scalato i vertici di Cosa Nostra trapanese, arrivando a esercitare il suo potere mafioso anche ad Agrigento e a Palermo.
Il suo padrino di Cresima è stato Antonino Marotta, “uomo d’onore” ed ex affiliato alla banda di Salvatore Giuliano. La prima denuncia per associazione mafiosa arriva nel 1989, poiché ritenuto coinvolto nella sanguinosa faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna.
Nel 1991, Messina Denaro uccide Nicola Consales, proprietario di un albergo a Triscina per essersi lamentato con la sua impiegata austriaca (amante di Messina Denaro) di “quei mafiosetti sempre tra i piedi”.
Da sempre alleato dei corleonesi e di Riina, fin dalla guerra di mafia nei primi anni ’80, Totò lo considerava come un figlio. Molti anni dopo, il collaboratore di giustizia Baldassare Di Maggio dirà di lui che si trattava di “un giovane rampante, anche se non è già capo, e suo padre gli ha dato un’ampia delega di rappresentanza del mandamento” (il padre di Messina Denaro era latitante dal 1990).
Cosa ha fatto Matteo Messina Denaro
Matteo Messina Denaro diventa subito uno dei boss di riferimento per Cosa Nostra.
Nel 1992 viene mandato, insieme ad un gruppo di fuoco composto dai mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, a Roma per pedinare il conduttore e giornalista Maurizio Costanzo, molto impegnato nel suo Costanzo show nella denuncia dei crimini mafiosi, e per uccidere il magistrato Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli, facendo uso di kalashnikov, fucili e revolver, procurati da Messina Denaro stesso.
Qualche tempo dopo, però, il boss Salvatore Riina fa ritornare il gruppo di fuoco, perché vuole che l’attentato a Falcone venga eseguito diversamente.
Nel luglio 1992, Messina Denaro uccide Vincenzo Milazzo, capo della cosca di Alcamo, che aveva cominciato a mostrarsi insofferente all’autorità di Riina.
Pochi giorni dopo, Messina Denaro strangola barbaramente anche la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi: i due cadaveri vengono poi seppelliti nelle campagne di Castellammare del Golfo.
In seguito, Messina Denaro prende parte anche al gruppo di fuoco che compie il fallito attentato al vicequestore Calogero Germanà, a Mazara del Vallo (14 settembre 1992).
Dopo l’arresto di Riina, il 15 gennaio 1993, Messina Denaro è dell’idea di proseguire con la strategia degli attentati dinamitardi, linea condivisa anche da Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.
Messina Denaro mette a disposizione un suo uomo, Antonio Scarano (spacciatore di droga di origini calabresi residente a Roma), per fornire supporto logistico al gruppo di fuoco palermitano che compie gli attentati dinamitardi a Firenze, Milano e Roma, che provocano in tutto dieci morti e 106 feriti, oltre a danni al patrimonio artistico. Organizza poi l’attentato ai danni di Totuccio Contorno coadiuvato da Leoluca Bagarella.
Gli anni della latitanza
La latitanza di Matteo Messina Denaro inizia nell’estate del 1993, quando il boss si reca in vacanza a Forte dei Marmi con i fratelli Graviano.
Da quel momento fa perdere le sue tracce per 30 anni. Nei suoi confronti viene spiccato un mandato di cattura per i reati di associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati di minore entità.
Fu però con l’operazione Petrov del marzo 1994, scaturita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Scavuzzo, che emerge il suo ruolo all’interno di Cosa Nostra trapanese ed, ancora di più, con l’operazione "Omega", portata a termine dai carabinieri nel gennaio 1996 con 80 ordinanze di custodia cautelare sulla base della accuse dei collaboratori di giustizia Antonio Patti, Salvatore Giacalone, Vincenzo Sinacori e Giuseppe Ferro, i quali ricostruirono più di vent’anni di omicidi avvenuti nel trapanese.
Nel 2000, alla conclusione del maxi-processo "Omega" che scaturisce dall’operazione e che si svolge presso l’aula-bunker del carcere di Trapani, Messina Denaro viene condannato in contumacia alla pena dell’ergastolo.
Nel novembre 1993, Messina Denaro è tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci.
Dopo 779 giorni di prigionia, il piccolo Di Matteo viene brutalmente strangolato e il cadavere sciolto nell’acido.
Nel 1994 Messina Denaro organizza un attentato dinamitardo contro il pentito Totuccio Contorno, insieme a Giovanni Brusca; tuttavia, l’esplosivo, collocato in una cunetta ai lati di una strada nei pressi di Formello, dove Contorno passava abitualmente, viene scoperto dai Carabinieri, avvertiti dalla telefonata di un cittadino, insospettito da alcuni movimenti strani.
Le indagini sulla latitanza e il cambio di aspetto
Nel 1994, in piena latitanza, Messina Denaro si reca a Barcellona, presso una clinica, per curare una forte miopia che lo aveva reso strabico. Nel 2004, il SISDE , tramite l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino, riesce ad agganciare Messina Denaro e l’ex primo cittadino prende contatti con Provenzano, tramite il nipote Carmelo Gariffo.
Nei pizzini scambiati con l’ex sindaco, Messina Denaro si firma “Alessio”; quegli stessi pizzini sono stati ritrovati nel covo di Provenzano quando il boss venne arrestato l’11 aprile 2006.
In seguito all’arresto di Provenzano, Messina Denaro interrompe la corrispondenza con Vaccarino, inviandogli un ultimo pizzino in cui gli raccomanda “di condurre una vita trasparente in modo da non essere coinvolto nelle indagini”.
Ma la diffusione della collaborazione del Vaccarino da parte del quotidiano “La Repubblica” fa saltare l’operazione del SISDE e la probabile cattura di Messina Denaro.
Con le operazioni “Golem e Golem 2”, le Forze dell’Ordine arrestano, nel 2009, la rete di fiancheggiatori trapanesi di Messina Denaro, ritenuti di favorire la latitanza del boss.
Un pentito ha affermato che il latitante si sarebbe sottoposto ad un intervento di chirurgia plastica al volto, per non essere riconoscibile. L’intervento sarebbe avvenuto in Piemonte o in Valle D’Aosta.
Un informatore ha invece affermato al contrario che Matteo Messina Denaro si è fatto la plastica in Bulgaria, sia al volto sia ai polpastrelli, per non essere riconoscibile. Inoltre, ha sostenuto che il latitante ha problemi di salute: non ci vede quasi più ed è in dialisi.
Il testimone ha raccontato che Messina Denaro si è recato più volte a Pisa e a Lamezia Terme, e che sarebbe protetto dalla ’ndrangheta.
L’arresto
L’ultimo boss di Cosa Nostra si trovava all’interno della clinica palermitana “Maddalena” per sottoporsi a delle cure chemioterapiche per un cancro, quando è stato arrestato dagli uomini del Ros, guidati dal comandante dei Carabinieri Pasquale Angelosanto, che ha coordinato il blitz dalla caserma intitolata al Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, sede della Legione Carabinieri Sicilia.
Alle 9:35, Messina Denaro è stato caricato su un furgone nero dai militari e, scortato da diverse gazzelle dei carabinieri, è stato portato via. Al momento dell’arresto, i palermitani hanno applaudito le Forze dell’Ordine.
Tra i vari omicidio commessi, nel curriculum criminale di Matteo Messina Denaro ci sono quelli che hanno destato più clamore come quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, e le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma.
L’aver assicurato l’ultimo grande boss di prima grandezza di Cosa Nostra alla giustizia, ha impiegato, in questi anni, centinaia di uomini delle Forze dell’Ordine.
La sua latitanza è stata la più lunga se la si confronta con quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernardo Provenzano, che è riuscito ad evitare la galera per 38 anni.
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