Luna Luciano - 15 giugno 2021
Covid: i sintomi della variante Delta
È arrivata anche in Italia la variante Delta (ex indiana) del Covid che ha spaventato l’UE e il Regno Unito: quali sono i sintomi. Il vaccino funziona?
Spaventa la variante Delta, conosciuta anche come “variante indiana” del coronavirus, uno degli argomenti caldi del G7, tenutosi in Cornovaglia.
La Gran Bretagna, la prima a esserne stata colpita in Europa, ha rimandato la riapertura totale, il “Freedom day”, che gli inglesi tanto attendevano. Dopo un’impennata dei casi il premier Boris Johnson ha preferito far slittare la riapertura dal 21 giugno al 19 luglio, dicendosi fiducioso.
Della variante Delta ne ha parlato anche il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, al termine di una conferenza stampa, dopo la conclusione del G7. Questo ha spiegato che si effettueranno i tamponi a chiunque arrivi in Italia, e che:
se dovessero ricominciare ad aumentare i contagi, anche noi dovremmo reinserire la quarantena per chi arriva dall’Inghilterra.
La possibilità di una quarantena, però, sembra essere lontana per il premier italiano. Tutto dipenderà dal numero di contagi; se il numero dovesse crescere vertiginosamente l’Italia dovrà essere pronta a reagire tempestivamente.
Certamente la nuova variante, più contagiosa del 60%, desta non poche preoccupazioni.
Variante Delta coronavirus: cos’è e i sintomi
La variante Delta del Sars-Cov-2, conosciuta anche come variante B.1.617, è stata scoperta per la prima volta a ottobre nel Maharashtra, uno stato centro-occidentale dell’India, con capitale Mumbai.
La variante presenta diverse mutazioni, tra cui la E484Q e L425R. In Italia è presente fin dal 10 marzo 2020. Il ceppo di questa variazione risulta essere, dai primi studi, circa il 60% più contagiosa.
I sintomi della variante indiana non sembrano discostarsi dalle altre varianti del SARS-CoV-2. I pazienti risultati positivi alla variante Delta potevano essere asintomatici o presentare i sintomi tipici della malattia: febbre, tosse, mal di gola, debolezza, affaticamento, dolore muscolare e infine la perdita dell’olfatto e all’alterazione del gusto.
Ultimamente un gruppo di medici indiani ha evidenziato la comparsa, in alcuni soggetti, di sintomi diversi dalla classica sintomatologia quali il danneggiamento all’apparato uditivo, disturbi gastrici gravi e coaguli di sangue che porterebbero alla cancrena. Al momento, però, non è stata confermata l’associazione tra questi sintomi e il nuovo ceppo.
Variante Delta: quante sono le persone contagiate in Italia?
Al momento in Italia la variante Delta è presente in una bassissima percentuale: meno dell’1%. A preoccupare è l’alta contagiosità della variante, di cui sono stati rintracciati i focolai.
Nelle ultime due settimane sono stati rintracciati due focolai: il primo a Milano con 10 persone risultate positive al ceppo Delta (erano tutti frequentatori della stessa palestra); il secondo focolaio, di 25 persone, è a Brindisi. La Regione Puglia si è detta preoccupata per la presenza della variante, ma è stato fatto il possibile per rintracciare tutti i possibili contagiati.
Secondo un report dell’Istituto Superiore della Sanità (ISS), in Italia la variante prevalente, fino al 19 maggio, è stata quella “inglese” (B.1.1.7) con l’88,1%, un dato in calo rispetto al 91,6% di aprile, mentre quella indiana non supera l’1%.
Variante Delta: il vaccino funzionerà?
Davanti alla nuova variante Delta riemergono i dubbi sul vaccino, dopo la bufera sui vaccini AstraZeneca, stavolta ci si domanda se i vaccini saranno efficaci contro la nuova variante.
Secondo uno studio pubblicato dalla rivista scientifica “The Lancet” la variante abbasserebbe del 13% la prestazione dei vaccini.
Il Pfizer, infatti, fornirebbe circa il 79% della protezione contro la variante Delta, rispetto al 92% fornito contro la variante inglese.
Il vaccino AstraZeneca, invece, fornisce una protezione del 60% rispetto al 73% della variante inglese.
È stato provato che i vaccini riducono il rischio di ospedalizzazione, ma per poter garantire una forte protezione dalla variante indiana devono decorrere 28 giorni dalla prima la somministrazione. Basterebbero però le due dosi – sia di AstraZeneca che di Pfizer – per ridurre in maniera consistente il rischio d’infezione
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