Paola Gentile - 10 gennaio 2023
Curcio, Cagol, Franceschini, Ferrari e Gallinari: ecco come il Generale dalla Chiesa sconfisse le Brigate Rosse
Lo storico nucleo delle Br è stato smantellato dal Generale dalla Chiesa e dagli uomini del Nucleo Speciale Antiterrorismo.
Il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa alla guida del Nucleo Speciale Antiterrorismo sconfisse le Brigate Rosse arrestando i capi: Renato Curcio e Alberto Franceschini.
Successivamente, in un conflitto armato perse la vita Mara Cagol, compagna di Curcio, e prima ancora venne arrestato Paolo Maurizio Ferrari, l’ex brigatista che non ha mai chiesto scusa. Come lui, anche Prospero Gallinari è finito in carcere.
Questa sera, su Rai Uno, va in onda la seconda delle quattro puntata de: “Il nostro Generale”, che ripercorre le vicende professionali e umane del Generale dell’Arma dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa che si intrecciano, inevitabilmente, con le pagine più buie della storia d’Italia.
Ed è proprio nella puntata in onda alle 21:25 che il Generale dalla Chiesa riesce ad arrestare i capi delle Brigate Rosse: Renato Curcio e Alberto Franceschini e a sconfiggere il terrorismo rosso.
Vediamo chi sono i due brigatisti e qual è stato il ruolo di Mara Cagol, Paolo Maurizio Ferrari e Prospero Gallinari nell’organizzazione, prima che passasse tutto nelle mani di Mario Moretti.
Ecco come il Generale dalla Chiesa sconfisse le Br
Come nasce la colonna torinese delle Br
I coniugi Renato Curcio e Mara Cagol condividono la passione per la lotta armata e nella seconda metà del settembre 1972 si stabiliscono a Torino dando vita in città alle Brigate Rosse, insieme ad Alberto Franceschini.
Il gruppo terroristico si è formato già due anni prima in un incontro avvenuto a Costaferrata di Pecorile, nell’Appennino emiliano, dove un centinaio di partecipanti decise di organizzare nelle fabbriche piccoli nuclei di militanti con il compito di abbinare la propaganda politica ad azioni di forza: partendo dall’assunto che le bombe di piazza Fontana sono una “strage di Stato”.
Convinti che in Italia nulla può mutare con il voto democratico, i brigatisti sostengono la necessità di passare alla “violenza offensiva” contro “il potere reazionario della borghesia”.
Iniziano le prime azioni nel 1972, a Milano, con incendi di auto di dirigenti e capisquadra della Pirelli e dell’Alfa e con il sequestro dimostrativo di un ingegnere della Sit Siemens.
Nella primavera dello stesso anno, la Polizia fa irruzione in due covi milanese e arresta numerosi militanti.
Curcio e Cagol riescono a scappare, entrando in clandestinità e, dopo alcune settimane trascorse in località sperdute lontano dai centri urbani, alla fine dell’estate si trasferiscono a Torino: poco dopo li raggiungono altri capi storici appartenenti al nucleo originario, tra cui Alberto Franceschini, Prospero Gallinari, Paolo Maurizio Ferrari.
Tutti insieme danno vita alla colonna torinese delle Br, destinata ad essere il punto di riferimento dell’organizzazione terroristica.
Renato Curcio e Mara Cagol: la coppia di terroristi
Renato Curcio nel 1969 fonda il Collettivo Politico Metropolitano, esperienza che avrebbe dato poi vita alla Sinistra Proletaria, il primo nucleo delle Br, il principale gruppo di lotta armata dell’estrema sinistra attivo negli anni di piombo.
Curcio, laureatosi in Sociologia, viene arrestato nel 1974 dagli uomini del Nucleo Speciale Antiterrorismo guidato dal Generale dalla Chiesa.
Riesce ad avare di prigione grazie ad un’operazione guidata da Mara Cagol e si dà alla latitanza per un breve periodo.
In seguito, è nuovamente arrestato e condannato a 28 anni di carcere per concorso morale in omicidio, in seguito all’attacco alla sede del Movimento Sociale Italiano di Padova (Curcio non vi partecipò e non uccise mai nessuno di persona, ma fu fra gli ispiratori e scrisse il proclama di rivendicazione), e per la costituzione di associazione sovversiva e altri reati.
Pur non essendosi mai dissociato, ha dichiarato la fine della lotta delle Br e ha criticato alcune delle sue scelte. Nel 1998 è stato quindi scarcerato con quattro anni di anticipo, dopo altrettanti anni di semilibertà. In tutto ha scontato circa 25 anni di reclusione, di cui 21 in carcere (12 in regime di carcere duro).
Una volta libero, Curcio intraprende la professione di intellettuale e saggista nella cooperativa editoriale e sociale Sensibili alle foglie, da lui fondata, che si occupa di tematiche legate alla disabilità, nonché a istituzioni totali (come carceri e manicomi), immigrazione e studi sulle nuove forme di controllo sociale nella società di massa.
Mara Cagol muore nel 1975 in seguito ad uno scontro a fuoco con i Carabinieri avvenuto nella cascina Spiotta d’Arzello, dov’era stato nascosto l’industriale Vittorio Vallarino Gancia, sequestrato il giorno precedente da un nucleo brigatista.
La morte di Margherita Cagol segna fortemente le Brigate Rosse e, per le sue circostanze ritenute non del tutto chiare, favorisce un’accentuazione della radicalità e della violenza dell’azione del gruppo armato.
Cagol ha partecipato al sequestro del magistrato Mario Sossi e ha guidato, con successo, l’assalto al carcere di Casale Monferrato per liberare il marito Curcio.
Alberto Franceschini: il legame con le Br e l’arresto
Alberto Franceschini appartiene ad una famiglia comunista. Suo padre Carlo fu arrestato per aver aderito a movimenti antifascisti. Suo nonno invece fu uno dei fondatori del partito comunista d’Italia. Alberto entra in politica da giovanissimo. In passato sostenne che per lui la sua militanza brigatista era un seguito della lotta partigiana.
Entra a far parte della FIGC quando era ancora un ragazzo, ma in seguito ad una serie di incomprensioni si dimette dal partito. Successivamente a Reggio Emilia fonda il CPOS, Collettivo Politico Operai Studenti, al movimento aderirono anche Lauro Azzolini, Prospero Gallinari, Francesco Pelli e Franco Bonisoli. Nel 1970, danno vita alla sinistra proletaria.
Nel corso del convegno di Pecorile, Franceschini diventa leader delle Br insieme a Renato Curcio, con il quale viene arrestato nel 1974. Alla cattura sfugge Mario Moretti che di lì a poco diventa il capo delle Br. Alberto Franceschini ha dichiarato di non avere mai commesso alcun omicidio.
Finita di scontare la sua pena nel 1992, Franceschini è oggi un libero cittadino e ha prestato servizio presso l’Arci di Roma, ricoprendo il ruolo di dirigente di una cooperativa che sostiene tossicodipendenti, carcerati, immigrati e minori con problematiche.
Paolo Maurizio Ferrari: il brigatista che non ha mai chiesto scusa
A differenza degli altri suoi compagni di militanza che si sono “ravveduti” per quanto commesso, Ferrari non si è mai dissociato dalla lotta armata e per questo è stato soprannominato “l’ultimo degli irriducibili”.
Operaio in Pirelli, Ferrari diventa un militante regolare delle Br e si trasferisce a Torino, dove partecipa ai sequestri del sindacalista della CISNAL Bruno Labate e del dirigente FIAT Ettore Amerio.
Il 27 maggio 1974 viene arrestato a Firenze, pochi giorni dopo il rilascio di Mario Sossi, del cui sequestro fu ritrovata una copia della rivendicazione sull’auto di Ferrari.
Fu il primo arrestato del cosiddetto "nucleo storico" delle Br, e nel 1978 ne è il "portavoce" durante il processo di Torino. E’ condannato a ventun anni di carcere per sequestro di persona e rapina, e riceve altri anni di condanna per avere preso parte alla rivolta (contro anche il sistema detentivo previsto delle carceri speciali) nel carcere dell’Asinara nel 1979.
Non essendosi dissociato dalla lotta armata, non ha mai beneficiato della semilibertà, ed è uscito dal carcere nel 2004, dopo trent’anni di prigione. Tuttavia, la sua lotta è continuata:
- Nel giugno del 2007 ha preso parte ad una manifestazione contro il regime del 41bis tenutasi presso il carcere dell’Aquila;
- Il 26 gennaio 2012 è stato arrestato nell’ambito di un’indagine sugli scontri relativi al progetto della galleria di base Torino-Lione;
- Il 27 gennaio 2015 viene condannato a 4 anni e sei mesi di detenzione per aver partecipato, assieme a migliaia di altri No TAV, agli scontri con le forze di polizia il 27 giugno e 3 luglio 2011 in Val di Susa;
- Il 23 ottobre 2021 partecipa a Milano alla manifestazione contro il green pass, portando uno striscione con la scritta "Lavoratori contro Green Pass e obbligo vaccinale Ora e sempre resistenza", e viene denunciato dalla Digos.
Prospero Gallinari: l’ultimo capo delle Br
L’ex brigatista rosso Prospero Gallinari è morto il 14 gennaio 2013, in seguito ad un malore improvviso. Dopo aver fatto parte dello storico gruppo delle Br, viene arrestato nel 1974 e riesce ad evadere dal carcere nel 1977 e assume un ruolo di primo piano come dirigente della colonna romana delle Br, diventando membro del Comitato Esecutivo.
Gallinari fa parte del nucleo armato che assassinò gli uomini della scorta di Aldo Moro nell’agguato di via Fani e durante il sequestro svolse il ruolo di carceriere del presidente della Dc.
I suoi nomi di battaglia erano Giuseppe e Gallo (derivato dal suo cognome e analogo a quello usato dal partigiano e politico comunista Luigi Longo durante la Resistenza italiana).
Dopo la fine del sequestro, Gallinari continua a dirigere la colonna romana partecipando direttamente ad altri gravi fatti di sangue fino al suo arresto nel settembre 1979, dopo uno scontro a fuoco con agenti di Pubblica sicurezza in cui rimase gravemente ferito alla testa.
Gallinari è condannato all’ergastolo per molti tra gli attentati e le azioni delle Br nel periodo 1974-1979, tra cui il citato rapimento Moro (1978), e per aver partecipato materialmente all’omicidio dei cinque agenti di scorta, così come per l’omicidio di due poliziotti e del giudice Riccardo Palma nel 1979.
In totale fu esecutore diretto, con altri brigatisti, di otto omicidi. Non ha mai collaborato con la giustizie e negli anni novanta a causa di seri motivi di salute venne disposta la sospensione della sua pena e uscì di prigione.
“ Eravamo clandestini per lo Stato, non per le masse . Vi piaccia o non vi piaccia era così l’Italia di quegli anni, altrimenti un’organizzazione come la nostra non avrebbe potuto restare in piedi per tanto tempo”.
A tal proposito anche Francesco Cossiga affermò che “Prospero Gallinari mi disse, e io gli credo, che i dirigenti dei sindacati delle fabbriche sapevano dove stavano i brigatisti. Nessuno di loro ha parlato, tranne uno, Guido Rossa; e l’hanno ammazzato. Secondo Gallinari, erano mille i militanti di sinistra a conoscere la prigione di Moro ”.
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