Luca Restivo - 22 novembre 2022
Forze armate, negato ricongiungimento familiare: militare fa ricorso al Tar
Un maresciallo dell’Aeronautica Militare fa ricorso al Tar, ma il Consiglio di Stato dà ragione alla Forza armata.
Un maresciallo dell’Aeronautica Militare ha fatto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) per rivendicare il diritto al ricongiungimento familiare che gli era stato negato dall’Amministrazione.
Il militare ha impugnato il provvedimento con il quale veniva rigettata la sua richiesta.
Come stabilito dalla legge il ricongiungimento familiare in ambito militare consente al pubblico dipendente coniugato o convivente (la donna militare è sposata con un Caporal Maggiore Capo Scelto dell’Esercito) con prole (la donna militare ha una figlia) di età pari o inferiore a tre anni di chiedere di essere assegnato temporaneamente, per un periodo non superiore a tre anni, nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa.
Vediamo come si è espresso il Tar, in seguito al ricorso del maresciallo, e qual è stata la sentenza.
Ricongiungimento familiare negato: il ricorso al Tar
Dinnanzi al diniego dell’Amministrazione a non accettare l’istanza di ricongiungimento familiare, un maresciallo dell’Aeronautica Militare ha fatto ricorso al Tar.
Le motivazioni del rigetto da parte dell’Amministrazione sono state quelle dell’indisponibilità di posizioni organiche vacanti relative al ruolo, categoria, specialità/qualifica posseduti dal militare: “Supporto - Manutenzione Aeromobili - Manutentore Tecnico Avionico”.
Il Tar ha contestato questa motivazione ritenendola mancante, in quanto l’Amministrazione si è limitata solo a dire che c’era indisponibilità per quel ruolo, “senza aver fornito elementi di supporto a dette argomentazioni e, ancor di più, senza aver operato un giudizio di bilanciamento tra le necessità operative e l’istanza proposta”.
L’Amministrazione, dal canto suo, ha rigettato nuovamente l’istanza. Il Tar ha accolto il ricorso sulla base di quanto previsto dalla direttiva DIPMA -UD-001 che, all’art.7 lett. F, stabilisce che
“il personale militare di F.A. coniugato… con altro personale appartenente alle Forze armate o alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e civile… può presentare domanda per essere trasferito, ove possibile, nel comune, o località viciniore, ove si trova la sede di servizio del coniuge…ciò compatibilmente con le vacanze organiche del ruolo/categoria/specialità ed eventualmente qualifica, nonché per le esigenze funzionali di Forza armate e dei reparti interessati presso le sedi di destinazione”.
Per tutto risposta l’Aeronautica ha presentato appello al Consiglio di Stato.
La sentenza del Consiglio di Stato
I togati del Consiglio di Stato hanno accolto l’appello della Forza armata, in quanto l’art. 7, lett. F., costituisce previsione contenuta in una direttiva ministeriale e riguarda un istituto specifico dell’Amministrazione appellante che, pur in considerazione delle particolari necessità funzionali organizzative delle Forze armate, è volto a riconoscere particolare tutela alle esigenze di ricongiungimento familiare degli interessati.
Visto il particolare ruolo rivestito dai militari e l’importanza della sicurezza nazionale, la previsione considera in linea di massima prevalenti le esigenze operative dei Reparti di appartenenza, e non a caso si usano le espressioni “ove possibile” e “compatibilmente con le vacanze organiche del ruolo…”.
Tuttavia, il provvedimento che nega il ricongiungimento parentale ha natura “ autoritativa e discrezionale ” dal momento che è frutto dell’apprezzamento e del comportamento degli interessi pubblici e privati coinvolti.
I giudici si sono soffermati su un punto: le vacanze presso la sede dell’Aeronautica, che attengono a posizione organica differente (ruolo “armamento aereo”) da quella ricoperta dal maresciallo (“manutentore tecnico avionico”), il tutto in un quadro complessivo di rilevante sovra-organico presso la sede richiesta.
Le diverse considerazioni dell’interessata e il convincimento del primo giudice finiscono per sostituirsi inammissibilmente alle valutazioni proprie dell’Amministrazione che, per contro, non risultano essere illogiche, arbitrarie, irrazionali o irragionevoli e tanto meno viziate da travisamento di fatti.
La motivazione del diniego al trasferimento non è confliggente, tanto meno incongrua o illogica, poiché alle esigenze personali deve prevalere l’interesse pubblico della sicurezza nazionale e le esigenze operative dei Reparti.
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