Dipendenti pubblici, sì al trasferimento dove risiedono i figli fino a 3 anni

Dipendenti pubblici, sì al trasferimento dove risiedono i figli fino a 3 anni

Una sentenza della Corte Costituzionale cambia la tutela della genitorialità nel pubblico impiego: sì al trasferimento dove risiedono i figli fino a 3 anni.

In arrivo una svolta per i dipendenti pubblici, la recente sentenza della Corte Costituzionale interviene sulle disposizioni in tutela della maternità e della paternità e rivede le condizioni per il trasferimento. In particolare, la sentenza n. 99/2024 ha dichiarato l’illegittimità di una parte dell’articolo 42 bis del Decreto legislativo n. 151/2001 (ovvero il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) che tratta appunto del trasferimento del lavoratore per avvicinarsi alla famiglia. Ecco cosa cambia.

Dipendenti pubblici con figli fino ai 3 anni: ok al trasferimento dove risiede la famiglia

La suddetta norma di legge prevede che i dipendenti pubblici che hanno figli fino ai 3 anni possono accedere a un trasferimento temporaneo per lavorare nella stessa regione o provincia in cui l’altro genitore esercita l’attività lavorativa. È proprio questo punto che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo, alla luce del fatto che non viene contemplata - in alternativa alla sede di servizio dell’altro genitore - la residenza anagrafica del nucleo familiare.

Non c’è dubbio interpretativo sull’intento della normativa, che mira a permettere ai genitori di partecipare attivamente alla crescita dei figli minori e all’organizzazione familiare senza essere eccessivamente penalizzati dalla distanza della sede di lavoro. Nonostante ciò, per i giudici che hanno affrontato la questione in vari gradi di giudizio (sia nel caso specifico che ha dato esito alla sentenza citata che in molte altre occasioni) non è stato possibile applicare alcun tipo di estensione alla legge, che prevede espressamente che il dipendente possa su richiesta essere disposto “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa”.

La Corte Costituzionale ha ritenuto che questa disposizione è illegittima rispetto alla finalità della legge, che riguarda l’interesse prioritario dell’accudimento dei minori. Il motivo per cui viene menzionata in modo specifico la sede di lavoro dell’altro genitore è infatti quello di permettere ai nuclei familiari di ricomporsi, laddove per l’appunto ci siano esigenze lavorative che richiedano il trasferimento di uno o dell’altro. Non è tutto, come ribadito nella sentenza, questa norma presume che i figli minori risiedano necessariamente con l’altro genitore, un postulato che non è affatto al passo con i tempi. L’organizzazione familiare è sempre più diversificata, considerando l’utilizzo di nuove tecnologie, smartworking e mezzi di trasporto.

Per questo motivo una legge che mira ad agevolare il lavoro di cura genitoriale non può non prevedere il trasferimento verso una sede prossima al luogo di residenza dei figli del lavoratore pubblico, considerando anche che sempre più spesso entrambi i genitori sono assegnati presso sedi differenti dalla residenza dei figli, la quale non viene spostata per non turbare eccessivamente l’organizzazione familiare e preferendo invece sacrifici per raggiungere il luogo di lavoro.

Secondo i giudici, si pone così un contrasto rispetto all’articolo 3 della Costituzione, che dichiara l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Il testo della norma deve quindi cambiare e adottare la formula ritenuta più idonei dai giudici: il trasferimento temporaneo su richiesta del dipendente pubblico con figli minori di 3 anni deve essere disposto “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l’altro genitore eserciti la propria attività lavorativa”.

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