Luca Restivo - 23 dicembre 2022
Aumento spese militari, ok del governo a nuovi caccia e carri armati: con quali risorse?
Il governo Meloni punta a riarmare le Forze armate italiane e ad arrivare al 2% del Pil. Ma servono 8 miliardi in più che non ci sono.
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito che l’aumento delle spese militari per l’Unione europea e di conseguenza per l’Italia è fondamentale per “rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa” e per difendere gli interessi nazionali.
Intervenuta alla conferenza degli ambasciatori e delle ambasciatrici e prima di volare in Iraq per far visita ai militari impegnati nella missione all’estero, la premier ha chiarito che il governo italiano ha dato l’ok a nuove armi da destinare al Comparto Difesa e Sicurezza.
Quindi, sono previsti nuovi caccia e carri armati per il nostro Esercito che deve essere pronto alle sfide che attendono l’Italia e l’Ue.
“I regimi autoritari si sono rafforzati e noi ci siamo indeboliti. Oggi la pace in Europa non è più scontata, la nostra libertà non è più scontata. Niente di scontato esiste, nemmeno l’ordine internazionale”.
Poi, sulla guerra in Ucraina ha ribadito l’impegno del nostro Paese a sostegno di Zelensky “L’Italia continuerà a fare quello che deve fare”, sottolineando però che il dialogo e “una pace giusta per gli ucraini” devono essere i caposaldi.
Aumento spese militari: nuove armi
“ La spesa militare è necessaria per difendere gli interessi nazionali . Se scegli di difenderti e chiedi a qualcun altro di farlo, quel qualcuno non lo fa gratis”.
La visione Meloni per il futuro è maggiori investimenti nel campo della sicurezza da fare in Europa e in Italia, peccato che nella legge di Bilancio 2023 queste “visioni” non si siano tramutate in atti concreti, tanto che le sigle sindacali del Comparto Difesa e Sicurezza sono sul piede di guerra.
Investire va bene, ma con quali risorse? Si raggiungerà il famigerato 2% del Pil per le spese della Difesa? A cosa serve acquistare caccia di ultima generazione e carri armati nuovi di zecca se poi si destina zero euro per il personale?
Ebbene, questi sono tutti interrogativi che al momento non trovano risposta. Quello che sappiamo però è che Meloni è pronta a riarmare le Forze armate e ad arrivare al 2% per le spese militari così da affrontare la guerra totale. Che si traduce in più mezzi da combattimento, aerei, navi, tank, e più personale.
Nella pianificazione della scorsa estate, firmata dall’ex ministro Lorenzo Guerini, l’Italia ha preso atto dei nuovi scenari e avviato alcuni programmi fondamentali - dalla scorta di munizioni ai missili contraerei, dai cingolati all’ammodernamento dei tank - spalmando i fondi previsti su periodi molto lunghi.
Inoltre, tutti i vertici della Difesa nelle audizioni parlamentari hanno sottolineato l’urgenza di aumentare gli organici. Oggi metà del bilancio serve a pagare gli stipendi e quindi le risorse per l’acquisto di strumenti sono limitate.
Aumento spese militari: dove il governo prenderà i soldi
Tante belle proposte, ma i soldi? Dove li prenderà il governo Meloni per raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil per le spese militari? Attualmente, la spesa per la Difesa ammonta a circa 25 miliardi l’anno, circa l’1,5% del Pil.
Per arrivare al 2% prima del 2028, più o meno entro la fine della legislatura, servono altri 8 miliardi. Dove prenderli? Questo è il vero mistero.
Nella legge di Bilancio 2023 non ci sono soldi da destinare alla spesa militare e al momento non è dato sapere come farà l’Italia ad aumentare le risorse senza fondi a disposizione.
Si potrebbe fare ricorso a leggi speciali, a stanziamenti ad hoc, come avvenuto in passato e come fatto l’ultima volta dal governo Renzi che ha messo a punto una legge speciale per l’acquisto di nuove navi, o per il caccia Eurofighter o gli elicotteri pesanti acquistati con i soldi del Mise.
Nell’ultimo periodo, riporta Repubblica, si è vociferato di un provvedimento ad hoc per l’Esercito, che alla luce della lezione in Ucraina, deve rivedere tutto: esistono solo 120 carri armati e 50 cannoni semoventi, mancano armi contraeree, sono praticamente assenti droni e apparati da guerra elettronica.
L’Italia è già in ballo per la produzione dei caccia Tempest di sesta generazione in collaborazione con Gran Bretagna e Giappone e per i carri armati europei con Francia e Germania, progetti per i quali c’è tutta l’intenzione da parte del governo di reperire i fondi e di accelerare, dal momento che si tratta di commesse lunghe da esaurirsi tra otto/dieci anni.
Il governo Meloni, almeno sulle armi, sposa una politica da condurre sotto l’ombrello dell’Europa, “pilastro” che dentro la Nato - ricorda la premier - deve essere “complementare” rispetto a quello statunitense.
Quali sono i Paesi che investono di più nella Difesa
Tra i Paesi europei che investono di più nella Difesa c’è sicuramente la Germania che ha messo a punto un piano di riarmo consistente, arrivando a stanziare nel 100 miliardi extra.
Oltre al governo tedesco, c’è quello della Polonia che sta facendo incetta di ogni strumento bellico, con il rischio di ritrovarsi i contraccolpi della guerra ucraina dentro casa.
Sul podio anche la Francia che ha messo in atto un incremento delle spese militari non indifferente, ma che deve ancora essere monetizzato.
Italia e Europa dipendenti da Russia e Usa?
Nel corso della conferenza, Meloni ha posto l’accento su un tema che è per certi versi un cavallo di battaglia della sua campagna elettorale: l’indipendenza dalle altre nazioni, in una parola: sovranismo.
Solo che in questo caso specifico il sovranismo/nazionalismo non è limitato all’Italia, ma riguarda l’intera Europa.
Meloni ha detto che la guerra in Ucraina ha portato alla luce come l’Europa sia troppo dipendente dagli Stati esteri, sia dalla Russia per quanto riguarda le forniture di gas, sia dagli Stati Uniti per quel che concerne la sicurezza.
“Ci siamo resi conto delle troppe dipendenze, dell’errore strategico in termini di sovranità di rinunciare ad alcune catene del valore. Uscire dalla dipendenza dalla Russia favorendo una dipendenza dalla Cina” sarebbe un errore.
Per rendersi indipendenti occorre rafforzare l’autonomia strategica in Europa in termini di sicurezza che equivale a rafforzare gli investimenti.
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