Paola Gentile - 16 gennaio 2023
Chi è Patrizio Peci, il brigatista pentito che collaborò con il Generale dalla Chiesa e cosa fa oggi
Peci è stato il primo brigatista a collaborare con la giustizia e a far arrestare i compagni di lotta armata.
Chi è Patrizio Peci, il brigatista che collaborò con il Generale dalla Chiesa?
Questa sera alle 21:25, su RaiUno va in onda il terzo dei quattro appuntamenti della fiction “Il nostro Generale” che ripercorre la vita e il lavoro del Generale dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa nella lotta alle Brigate Rosse e alla mafia, assassinato da Cosa Nostra il 3 settembre 1982 a Palermo, dove era prefetto da appena 120 giorni.
Dopo l’arresto dei membri della colonna torinese delle Brigate Rosse composto dai leader Renato Curcio e Alberto Franceschini ad opera del Nucleo Speciale Antiterrorismo, il Generale dalla Chiesa porta avanti la sua battaglia per sradicare il terrorismo rosso.
Nel covo delle Br a Milano, in via Monte Nevoso, gli uomini di dalla Chiesa trovano oltre all’archivio dei brigatisti, anche le carte del Memoriale Moro.
Frattanto che le Br alzano il tiro con una sequela di omicidi, dalla Chiesa mette a punto il blitz che porta alla cattura di uno dei più importanti capi delle Brigate Rosse: Patrizio Peci.
Ecco chi è, qual è stato il suo ruolo nelle Br e cosa fa oggi l’ex brigatista.
Chi è Patrizio Peci
Patrizio Peci, classe 1953, è stato il primo brigatista a collaborare con la giustizia. Militante delle Brigate Rosse con il nome di battaglia “Mauro”, prima di entrare nelle Br, contribuisce alla costituzione dei PAIL (Proletari Armati in Lotta) ed entra nel movimento nel 1976.
Dopo un primo periodo a Milano, in seguito milita nella colonna “Mara Cagol” di Torino dove diventa uno dei principali dirigenti. Viene arrestato dal Nucleo del Generale dalla Chiesa il 20 febbraio 1980.
Il ruolo di Peci nelle Brigate Rosse
“Facevo parte di Lotta Continuae avevo 18 anni, forse ero anche più giovane. Era quel momento in cui lo Stato faceva sentire forte la sua repressione, anche arrestando i compagni che manifestavano in piazza”.
Diventato in breve tempo uno dei dirigenti della colonna torinese, dopo l’arresto di Curcio e Franceschini, nella sua carriera terroristica Peci ha partecipato a:
- Gambizzazione di Antonio Munari, capo officina della Fiat, il 22 aprile 1977;
- Pedinamento del giornalista Ezio Mauro ma poi il direttivo decise di non procedere alla gambizzazione;
- Gambizzazione del geometra Franco Visca, dirigente Fiat, il 30 giugno 1977, insieme a Piero Panciarelli e Andrea Coi;
- Gambizzazione di Antonio Cocozzello, militante della Democrazia Cristiana, il 25 ottobre 1977;
- Pedinamento ed omicidio del giornalista Carlo Casalegno, assassinato per aver offeso, secondo quanto scrisse poi Peci, la memoria di alcuni membri della Rote Armee Fraktion, morti suicidi in un carcere tedesco nel 1977.
L’arresto di Peci
Riuscito a sfuggire al blitz degli uomini del Nucleo, Peci viene catturato il 20 febbraio 1980, insieme a Rocco Micaletto.
Peci è stato il primo terrorista ad aver collaborato con la giustizia e comunicare a dalla Chiesa gli indirizzi di alcuni covi delle Br. L’irruzione nella base di via Fracchia, a Genova, porta alla morte di quattro brigatisti (Riccardo Dura, Lorenzo Betassa, Piero Panciarelli e Annamaria Ludmann) e al ferimento del carabiniere Rinaldo Benà.
Le Brigate Rosse si convinsero subito che Peci era stato arrestato una prima volta su precisa delazione di suo fratello Roberto, anche lui implicato nelle azioni di formazioni armate, poi rimesso in libertà per acquisire maggiori informazioni, e infine riarrestato con grande clamore mediatico.
Per questi motivi le Br sequestrarono Roberto Peci, lo processarono, lo condannarono a morte e lo uccisero. La parte finale del "processo proletario", compresa l’esecuzione della sentenza, fu registrata in un video, andato più volte in onda anche su televisioni nazionali.
Il video comprende la lettura della "sentenza", ed ha in sottofondo l’Internazionale. Peci ha sempre smentito la convinta tesi brigatista.
Peci, il brigatista pentito
Patrizio Peci è stato il primo brigatista ad aver collaborato con la giustizia e ad aver fatto arrestare altri compagni della lotta armata.
In seguito, Peci pubblicò con Giordano Bruno Guerri il libro Io, l’infame (Mondadori, 1983) in cui sono raccontati i suoi anni nelle Brigate Rosse e il successivo pentimento.
“Patrizio Peci è morto il 18 maggio del 1983. Patrizio Peci ero io. Il 18 maggio del 1983, a Torino, l’uomo conosciuto con quel nome entrava in un Tribunale di Torino per testimoniare contro i suoi ex compagni, principale teste d’accusa nel processo contro le Brigate Rosse. Fino a quel giorno ero stato un brigatista, dopo di allora divenni il più feroce nemico delle Brigate Rosse (...). Dopo quel 1983, un nuovo Patrizio, senza più nessuna immagine pubblica, senza volto, senza legami con il suo mondo di prima - insomma io - avrebbe dovuto compiere un nuovo rito battesimale, e ricominciare la propria vita da zero”.
Nel 1983, Peci rilascia un’intervista ad Enzo Biagi nella quale dichiara che: “Mio fratello avrebbe potuto salvarsi. Loro volevano con questo sequestro creare delle contraddizioni all’interno dello Stato, far cadere le persone che avevano rapporti con me, in particolare Carlo Alberto dalla Chiesa”.
Il 17 febbraio 1986, Peci viene condannato a 8 anni di reclusione, assieme ad altri componenti della colonna Mara Cagol, ai quali vennero complessivamente inflitti 13 ergastoli.
Cosa fa oggi l’ex brigatista
Patrizio Peci vive in una località segreta ed ha una nuova identità. Nel 2008, la televisione svizzera TSI manda in onda un documentario sui fratelli Peci dal titolo L’infame e suo fratello.
In quel documentario, attraverso la figura della sorella Ida, si mette in risalto il silenzio delle Istituzioni e l’attività di Radio Radicale, l’unica che ha cercato di considerare il fratello di un terrorista come “una persona da salvare”.
Nel 2008, esce per Sperling & Kupfer il suo romanzo autobiografico “Io, l’infame. La mia storia da terrorista pentito”.