Paola Gentile - 16 novembre 2022
Cos’è il reato di diffamazione e cosa si rischia
A seconda della gravità dell’offesa, la diffamazione è punita fino a 3 anni di carcere con multe fino a 3.000 euro.
Diffamare qualcuno costituisce reato. A dirlo è il nostro Codice penale che, all’art. 595 condanna “chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione ”.
Se prima dell’avvento dei social o della app di messagistica diffamare qualcuno meno agevole, oggi la querela per diffamazione può scattare anche se si lascia un commento inappropriato sotto ad un post o si scrive qualcosa di offensivo per l’altro in internet.
Di recente, la Cassazione si è espressa anche sul reato di diffamazione su WhatsApp. Un uomo di Caltanissetta aveva messo sul suo stato contenuti lesivi alla reputazione della persona offesa. Il reato si realizzava perché tutti i contatti presenti nella rubrica dell’uomo e dotati dell’applicazione, potevano leggere il post.
L’uomo, reo di aver diffamato un’altra persona, è stato condannato a risarcire le spese processuali di parte civile per la somma di 3.000 euro, al pagamento delle spese processuali e al pagamento di ulteriori 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Quindi, occhio a cosa si scrive o a come ci si rivolge all’altro, perché il reato di diffamazione è dietro l’angolo.
Cos’è il reato di diffamazione
Per diffamazione si intende un’offesa rivolta a ledere la reputazione o l’onore di una persona assente. Per far scattare il reato di diffamazione occorre che l’offesa sia comunicata a due o più persone con la consapevolezza di ledere la reputazione altrui.
Quando lo si fa, si commette un reato di diffamazione, punibile con sanzione pecuniaria e a seconda della portata dell’offesa, anche con il carcere.
Spesso, però, si confonde la diffamazione con la calunnia o l’ingiuria. Per ingiuria si intende un’offesa rivolta ad una persona presente, in pratica un insulto faccia a faccia. La presenza della vittima è l’elemento caratterizzante dell’ingiuria e la differenzia dalla diffamazione in cui la vittima si trova altrove e le parole diffamatorie vengono rivolte ad altre persone.
Mentre, la calunnia è una falsa accusa rivolta ad una persona innocente. La calunnia è l’attribuzione di un reato in mala fede, significa che il colpevole deve essere consapevole che la vittima è innocente e vuole arrecargli un danno con volontariamente.
Come viene messa in atto la diffamazione
Si può diffamare qualcuno in molti modi:
- Stampa;
- Internet;
- Social network;
- WhatsApp.
Con l’avvento di internet e dei social network incappare nel reato di diffamazione è davvero facilissimo. Si può offendere qualcuno con un post, una foto, un messaggio in chat, una recensione, una mail. I modi sono tanti, in più c’è la cassa di risonanza del web che fa viaggiare la nostra offesa a rapida velocità e condivisione.
È bene sapere che usare internet per diffamare qualcuno configura l’ipotesi di diffamazione aggravata, visto proprio il numero illimitato di persone che può garantire la rete.
Per far scattare il reato non serve indicare esattamente il nome e il cognome della persona a cui è rivolta l’offesa, basta che la stessa sia individuabile dalla collettività.
Vittima di diffamazione: cosa fare?
Chi è vittima di diffamazione deve rivolgersi alle Forze dell’Ordine e sporgere querela entro tre mesi dalla conoscenza delle dichiarazioni offensive. Basta recarsi presso le autorità competenti, vale a dire Polizia, Carabinieri, Procura della Repubblica, e denunciare quanto accaduto.
Se l’offesa è stata perpetrata tramite Internet o social network è importante segnalarlo, oltre alla polizia postale, anche al titolare del sito web oppure al centro assistenza della piattaforma interessata.
Se alla querela segue il rinvio a giudizio, allora è bene rivolgersi ad un avvocato per costituirsi parte civile nel processo penale per chiedere il risarcimento del danno patito (richiesta che può essere avanzata anche in una causa civile).
Come difendersi da un’accusa di diffamazione
Se si viene accusati del reato di diffamazione è bene ammettere di aver sbagliato e provare a rimediare, a esempio cancellando il post offensivo e scusandosi con persona offesa, la quale potrebbe:
- Accettare le scuse, non esporre querela nei confronti del responsabile delle dichiarazioni;
- Rinunciare a portare avanti la questione nell’ipotesi in cui si fosse già rivolta alle autorità (ciò che nel gergo giuridico prende in nome di remissione di querela).
Se la persona offesa presenta una querela a cui segue il rinvio a giudizio, allora l’imputato deve rivolgersi ad un avvocato penalista. Quest’ultimo avrà il compito di convincere il giudice dell’innocenza del suo cliente, dimostrando che:
- Il vero responsabile della diffamazione è un’altra persona;
- Le dichiarazioni non hanno offeso la reputazione del querelante;
- È stato esercitato semplicemente il diritto di critica (o di cronaca);
- È intervenuta la prescrizione e quindi il reato è estinto.
Cosa si rischia a diffamare qualcuno
Chi commette il reato di diffamazione rischia la reclusione fino ad un anno e una multa fino a 1.059 euro.
Nel caso in cui scatti l’aggravante, il carcere aumenta fino a tre anni e la multa non è inferiore a 516 euro. Le circostanze aggravanti sono:
- Quando il colpevole attribuisce un fatto determinato alla vittima. Qui la reclusione arriva a due anni e la multa a 2.065 euro;
- Offesa rivolta a ad un’Autorità dello Stato, corpo politico, amministrativo o giudiziario., con multa fino a 6.000 euro;
- Offesa a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità. La reclusione aumenta fino a tre anni con una multa non inferiore a 516 euro.
Nel caso di reato a mezzo stampa, però, è prevista la tutela della libertà della manifestazione di pensiero garantita dall’art. 21 della Costituzione e quindi il reato di diffamazione non c’è se:
- L’offesa riguarda un fatto di interesse pubblico: quindi se la tutela della reputazione della persona offesa è meno importante dell’interesse pubblico;
- La verità dei fatti narrati: non è reato di diffamazione il comportamento di una persona che diffonde notizie false ritenendole vere;
- Le espressioni utilizzate, anche se offensive, siano pacate e contenute;
- Sussistono queste condizioni, quindi, l’offesa arrecata per mezzo di stampa non è configurabile come reato di diffamazione.
Come abbiamo visto la diffamazione può avvenire tramite Facebook e viene ascritta al reato di mezzo di diffusione (sentenza della Cassazione n. 4873 del 1° febbraio 2017) e l’offesa pubblicata sulla propria bacheca può essere punita con le aggravanti indicate nel 3 comma dell’articolo 595 del Codice penale ma non per quelle previste dall’articolo 13 della legge 47/1948 riguardo all’attribuzione di un fatto determinato per mezzo della stampa.
L’offesa su Facebook figura come reato di diffamazione aggravata e la reclusione è fino a tre anni.
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