Paola Gentile - 4 novembre 2022
Dipendenti pubblici, buono pasto obbligatorio anche senza richiesta del servizio mensa: sentenza di Cassazione
Chi svolge un turno di lavoro superiore alle sei ore ha diritto al buono pasto.
I dipendenti pubblici, oltre a percepire lo stipendio mensile, hanno diritto anche al buono pasto a condizione che il turno di lavoro duri più di sei ore.
Nato per agevolare e conciliare il lavoro e il benessere psicofisico del lavoratore, al fine di proseguire l’attività lavorativa al meglio, il buono pasto, cartaceo o elettronico, ha carattere assistenziale ed è obbligatorio per il lavoratore che ha un turno di lavoro al di sopra delle sei ore giornaliere anche senza richiesta del servizio mensa.
Il buono pasto è un mezzo di pagamento di importo fisso, incluso tra i fringe benefit aziendali, spendibili per l’acquisto di alimenti e pasti presso esercizi convenzionati e sostituiscono, di norma, la mensa aziendale.
La Cassazione, con sentenza n. 32213/2022, ha accolto le ragioni dei ricorrenti dopo che la Corte di Appello aveva negato agli infermieri dell’Asp (a pieno titolo nella categoria dei dipendenti pubblici) il diritto ai buoni pasto sostitutivi del servizio mensa per ogni turno di lavoro superiore alle sei ore di durata nelle fasce orarie 07:00-14:00; 14:00-21:00 e 21:00-07:00.
I suddetti non hanno mai chiesto il servizio mensa fuori dall’orario di lavoro, con interruzione del turno per la pausa pranzo e il prolungamento per un tempo di pari durata.
Ricordiamo che i buoni pasto:
- Non sono cedibili, commerciabili e convertibili in denaro;
- Permettono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa dell’importo presente sul buono pasto;
- Consentono all’esercizio convenzionato che li accetta di dimostrare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società che li hanno emessi;
- Possono essere utilizzati solo e nei limiti del valore facciale;
- Possono essere utilizzati solo dai lavoratori subordinati, a tempo pieno o parziale e dai collaboratori anche non subordinati.
Buono pasto obbligatorio: perché non serve richiederlo
Nella sentenza della Cassazione (n. 32213/2022) viene licenziato il caso di alcuni infermieri dell’Asp che si sono visti negare il diritto ai buoni pasto sostitutivi del servizio mensa.
Gli infermieri, come riporta studiocataldi.it, contestavano proprio la decisione per violazione di legge (art. 8 dlgs n. 66/2003; art. 68 co. 2 DPR n. 384/1990; art. 33 DPR n. 270/1987) in quanto la stessa prevede che il diritto alla pausa pranzo sorge non appena il turno di lavoro supera le sei ore, non rilevando né che il lavoratore lo richieda né la modalità di svolgimento del turno.
Quindi, l’erogazione del buono pasto deve avvenire in automatico e senza richiesta del servizio mensa.
Buono pasto obbligatorio dopo le sei ore
Il buono pasto dopo le sei ore di lavoro è un diritto e la Cassazione ha accolto in pieno i primi due motivi del ricorso presentato dagli infermieri.
In un’occasione simile al caso di specie, i togati hanno affermato il principio di diritto tale per cui in tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto “è condizionata all’effettuazione di una pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato”.
Il buono pasto, previsto dall’articolo 144 del decreto legislativo n. 50 del 2016 e regolamentato dal Dm 122 del 2017, è un’agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è volta a conciliare le esigenze del servizio con quelle quotidiane dei dipendenti.
La finalità è quella di garantire il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponde a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio.
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