Luca Restivo - 23 settembre 2022
Terza guerra mondiale: chi decide sull’uso delle armi nucleari italiane?
Nelle basi Nato italiane vi sono bombe tattiche risalenti alla Guerra Fredda e destinate a essere usate anche da caccia dell’Aeronautica. Ora si pone il problema su chi potrà autorizzarne l’impiego in caso di escalation nucleare in Ucraina.
L’annuncio di Vladimir Putin sulla mobilitazione parziale in Russia e il richiamo di 300.000 riservisti ha alzato inevitabilmente l’asticella del conflitto in Ucraina.
La decisione del leader del Cremlino fa il paio con la minaccia, nemmeno troppo velata anzi chiaramente esplicita, dell’utilizzo del nucleare se l’Occidente attaccherà i confini russi, che si allargheranno in seguito ai referendum per l’annessione indetti nel Donbass, il cui risultato è scontato quanto grottesco.
Dinnanzi a questo scenario preoccupante, entrano in gioco due fattori: il ruolo che la Nato e di conseguenza gli Stati Uniti, seguiti a ruota dalla Gran Bretagna, avrebbero nel conflitto (su un intervento rapido e tempestivo Biden è stato chiaro - vedi qui) e sulle ripercussioni che un’escalation militare avrebbe in Italia.
Ci spieghiamo meglio. In quanto membro dell’Alleanza Atlantica, il nostro Paese deve intervenire qualora la situazione lo richiedesse, al fianco delle altre superpotenze che compongono la Nato.
Questo significherebbe non solo uno spiegamento di militari e mezzi, ma spingerebbe la Nato a rispondere con la stessa “moneta”, impiegando anche le bombe nucleari B-61 statunitensi che si trovano sul territorio italiano e che sono custodite nelle basi aree Nato di Aviano e Ghedi e che rientrano nell’ambito del programma nucleare sharing dell’Alleanza, volto a garantire un’efficace deterrenza nucleare sul suolo europeo.
Se dovessero servire anche le “nostre bombe”, chi dovrebbe autorizzarne l’utilizzo? Ecco, questo è un nodo importante. Sarà direttamente la Nato, sulla base di accordi precisi, o dovrà essere il Parlamento italiano a farsene carico?
Quello che è certo, è che dopo la Guerra Fredda nessuno mai si sarebbe aspettato di dover normare su un simile tema, come allo stesso tempo nessuno mai si sarebbe aspettato una guerra e il relativo uso di armi di distruzione di massa.
Bombe nucleari statunitensi in Italia: come stanno le cose
Come in tutte le capitali dell’Alleanza Atlantica, Roma compresa, la questione relativa all’uso delle bombe nucleari statunitensi B-61 non era mai stata presa in considerazione in virtù del fatto che non ci si sarebbe mai aspettati un loro potenziale impiego.
Sul nostro territorio, custodite nelle basi di Aviano e Ghedi, c’è una scorta di bombe tattiche, facenti parte del programma nucleare sharing dell’Alleanza volto a garantire un’efficace deterrenza nucleare sul suolo europeo, ma non si sa chi e quando possa deciderne l’utilizzo.
L’ammiraglio Chas Richard, responsabile dell’arsenale nucleare americano, ha dichiarato, come riporta La Repubblica, che gli Usa stanno “furiosamente riscrivendo una teoria della deterrenza per fronteggiare la nuova situazione”. Richard ha detto che “Mosca sta esercitando una pressione esplicita e implicita, tentano di sfruttare una falla nella deterrenza, una soglia sotto la quale loro erroneamente credono di potere usare armi nucleari, come ad esempio impiegare le loro bombe tattiche a corto raggio”. Il problema è stabilire come procedere in questo territorio inesplorato e pericolosissimo.
Se fino al 1991 c’erano delle regole chiare sull’uso degli ordigni nucleari, e quindi le autorità italiane dovevano attenersi agli accordi atlantici in maniera quasi automatica, vale a dire che i tempi ridottissimi d’impiego bypassavano l’autonomia nazione; ora tutta la procedura da Guerra Fredda è saltata e occorre riscrivere un nuovo paradigma e bisogna farlo anche alla svelta.
Quali sono le bombe nucleari presenti in Italia
Si tratta di ogive statunitensi denominate B-61 e vengono sganciate direttamente dagli aerei dagli F-16 dell’Usaf o dai Tornado italiani sul bersaglio. Hanno una potenza che va da 0,2 a duecento chilotoni, ossia da un decimo a dieci volte il fungo che cancellò la città giapponese di Hiroshima nel 1945.
I cacciabombardieri Tornado dell’Aeronautica Militare impiegabili anche nel ruolo nucleare presso la base di Ghedi “verranno progressivamente rimpiazzati a partire dal 2024 dai caccia F-35A” spiega il direttore della Rivista della Difesa Pietro Batacchi a Sky Tg24.
Le B-61 sono bombe nucleari di fabbricazione americana per l’impiego tattico e strategico da caccia e bombardieri e sul suolo europeo hanno due diverse catene di comando. Una parte si trova nelle basi statunitensi in Germania, Inghilterra e in Italia e verrebbero caricate a bordo di aerei dell’Us Air Force.
Un’altra scorta è custodita in bunker americani per essere trasferita su caccia della Nato, più esattamente su jet inglesi, belgi, tedeschi e italiani. Nel nostro Paese ad Aviano, in provincia di Pordenone, ci sono gli ordigni per i velivoli statunitensi mentre quelli per i Tornado dell’Aeronautica militare sono a Ghedi, non lontano da Brescia.
I numeri esatti sono top secret: la stima minima è che ci siano una ventina di B-61 ad Aviano e una quindicina a Ghedi. Queste ultime dovrebbero disporre di una “doppia chiave”: l’attivazione della testata richiede l’inserimento contemporaneo di due codici, in mano a un ufficiale americano e a uno italiano.
Chi possiede la “doppia chiave”
Sulla cosiddetta doppia chiave l’ultima analisi completa della situazione risale al 2007 realizzata dal professor Natalino Ronzitti dell’Istituto Affari Internazionali, per l’Ufficio Studi del Senato.
Stando a quanto riferito in un’intervista a Repubblica del 1981, l’allora ministro della difesa Lelio Lagorio disse che fino al 1962 l’Italia ha sempre ottenuto il principio della doppia chiave.
“L’uso delle basi non dipende esclusivamente dal comando americano, ma dal combinato consenso delle autorità italiane e statunitensi. Certo, la parola ultima, a conflitto scoppiato spetta al comandante in capo di tutte le forze ”.
In seguito, il ministro precisò che il “governo italiano non accetta che l’uso di armi atomiche dal proprio territorio sia disposto senza l’espresso e preventivo assenso delle autorità italiane” e veniva precisato come la realizzazione tecnica del meccanismo dovesse essere classificata come riservata.
Dal 1981 non si sa nulla su chi abbia il diritto di azionare la doppia chiave. Complice il mutato scenario internazionale e una sempre maggiore redazione di trattati volti a limitare la proliferazione atomica, è via via scemato l’interesse per la questione, ma le bombe sono rimaste nelle basi e le procedure militari sono proseguite.
Ci sono esercitazioni periodiche nei bunker della Lombardia e del Friuli-Venezia-Giulia; le B-61 stanno venendo modernizzate dagli Stati Uniti; i piloti italiani del Sesto Stormo continuano ad addestrarsi a utilizzarle. Di più: nel giro di un anno si comincerà a trasferire la missione ai nuovi “caccia invisibili” F-35 dell’Aeronautica.
Ma non ci sono informazioni su chi dovrebbe dare il via libera a un’azione nucleare, sia dei nostri velivoli, sia di quelli statunitensi di Aviano.
Chi dovrebbe reagire all’attacco nucleare russo?
Oggi, purtroppo, lo scenario è cambiato e ci si interroga su come rispondere ad un eventuale lancio di un’atomica “tattica” russa sull’Ucraina.
Al momento sembra esclusa una ritorsione nucleare contro la Russia, anche perché l’Ucraina non fa parte della Nato, ma questo non rassicura.
Le ritorsioni dell’esplosione di una bomba nucleare sono incalcolabili, specie per la Polonia e la Romania, membri Nato, il cui fall out radioattivo potrebbe comprometterne la salute della sua popolazione e non solo. In quel caso, le ripercussioni su territori in prossimità della frontiera europea potrebbero ritenersi come un attacco all’Europa stessa?
Situazioni che viaggiano su di una linea sottile, ma che comunque non potrebbero essere lasciate impunite.
Repubblica specifica che molti analisti ritengono che nella prospettiva di una ritorsione nucleare a un attacco di Mosca in prossimità dei confini Ue, questa dovrebbe essere gestita dai Paesi europei della Nato perché l’intervento diretto americano aprirebbe le porte a un’escalation e allo spettro di un conflitto apocalittico.
Lo stesso rischio, però, si correrebbe con un’azione britannica o francese, nazioni dotate di propri missili nucleari. I caccia dell’Aeronautica italiana hanno dimostrato le loro capacità in ogni campagna dal Kosovo, alla Libia fino alla sorveglianza dell’Isis.
A chi spetta la decisione?
Chi dovrebbe decidere circa l’impiego delle bombe nucleari? Nel 1981 Lagorio disse che l’ultima parola spetta al Comandante in Capo di tutte le Forze armate, vale a dire il Presidente della Repubblica, ossia Sergio Mattarella e la decisione sarebbe demandata a lui e al Parlamento, ovviamente, per discendere poi, in fase operativa, dalla presidenza del Consiglio al Ministro della Difesa, fino al terminale tecnico rappresentato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa.
“Appare anche evidente che l’organo di coordinamento (non di comando) attorno al quale ruota tutta la catena decisionale, propositiva e di indirizzo sembrerebbe essere, oggi, il Consiglio supremo di Difesa” ha scritto nel 2011 il generale Mario Arpino, ex capo di Stato Maggiore della Difesa, precisando che “porsi la domanda “Chi comanda le Forze Armate?” ed attendersi una risposta univoca è, ancora oggi, semplificazione eccessiva di un percorso assai complesso ”.
Il Consiglio Supremo di Difesa è l’organismo che riunisce intorno al Capo dello Stato i ministri chiave, i vertici delle Forze armate, dell’Intelligence e delle Forze di Polizia. Finora non si mai occupato di armi nucleari, l’augurio è che non lo faccia mai e che non si arrivi ad una terza guerra mondiale.
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