Aurora Marinaro - 17 maggio 2024
Cosa si può fare nei giorni di permesso legge 104
Permessi legge 104 per l’assistenza di un familiare disabile, ecco cosa si può fare nei giorni di permesso per non rischiare conseguenze spiacevoli.
La legge 104 (del 5 febbraio 1992) è il riferimento normativo per eccellenza riguardo all’assistenza e all’integrazione delle persone con disabilità, anche in riferimento all’attività lavorativa. Uno degli istituti che causa maggiori incomprensioni è quello dei permessi retribuiti, che il lavoratore può chiedere per sé stesso oppure per prendersi cura di un familiare con handicap grave. I lavoratori che ne hanno diritto possono così assentarsi per un massimo di 3 giorni al mese, fruibili in modo continuativo o frazionato.
Va da sé che il permesso è finalizzato all’assistenza del familiare disabile, ma la legge non specifica altro, né individua le specifiche attività consentite nell’ottica della cura. Ecco perché si creano diversi dubbi e timori nell’usufruire dei permessi retribuiti previsti dalla legge 104, anche perché possono essere svolti dei controlli sia dal datore di lavoro che dall’Inps e le conseguenze dell’abuso di questo diritto sono molto gravi. Ecco cosa c’è da sapere.
Cosa si può fare nei giorni di permesso 104
I giorni di permesso ai sensi della legge 104 devono essere dedicati all’assistenza del familiare con handicap grave nel modo più ampio che si possa intendere. Senza dubbio è giusto utilizzare quel tempo per aiutare il familiare nelle necessità quotidiane anche non strettamente correlate con la salute, per esempio provvedere alla spesa, alla pulizia della casa o altre incombenze ordinarie per cui il familiare necessiti di un aiuto. È pacifico che il lavoratore beneficiario possa quindi anche allontanarsi fisicamente dal familiare per svolgere commissioni e pratiche nel suo interesse.
Secondo l’orientamento della Cassazione rientra in questo campo un ampio spettro di attività, compreso l’acquisto di abbigliamento per il familiare, il rifornimento della sua vettura, la richiesta di informazioni per visite e cure mediche, lo svolgimento di pratiche burocratiche. Insomma, l’unico criterio stringente è che queste attività siano necessarie al familiare disabile. Oltre a queste attività, bisognerebbe invece stare a casa del familiare disabile o quanto meno accompagnarsi a lui nel luogo in cui necessita.
D’altra parte, è stato riconosciuto spesso dalla giurisprudenza il diritto del lavoratore di svolgere anche durante le ore di permesso delle piccole commissioni personali, purché non tolgano troppo tempo all’assistenza e si tratti di bisogni motivati e di breve tempo (andare a prendere i figli a scuola, aprire casa ai lavoratori per un intervento, comprare delle medicine o anche solo fare una breve passeggiata per prendere una boccata d’aria). Non c’è nemmeno una restrizione relativa all’orario, nel senso che l’abituale orario di lavoro non è un riferimento utile.
Dato che, appunto, abitualmente il caregiver si trova al lavoro sarebbe assurdo pretendere che l’assistenza al disabile sia confinata per forza nello stesso orario. L’importante è che le ore di permesso siano dedicate in modo prevalente all’assistenza del familiare e, se non in modo continuo, almeno in modo costante.
Naturalmente anche chi usufruisce del permesso per sé stesso deve beneficiare del tempo a disposizione per le proprie esigenze, come cure e visite mediche ma anche riposi o attività che in ragione delle condizioni di salute gli richiedono maggiore tempo. Non è tutto, il diretto interessato ha diritto a usufruire dei permessi retribuiti anche per il riposo e lo svago, differentemente dalle limitazioni a cui è sottoposto il caregiver.
Cosa non si può fare
Secondo la giurisprudenza chi usufruisce dei permessi retribuiti ai sensi della legge 104 può svolgere alcune commissioni personali di poco conto, ma non deve pregiudicare per quantità e qualità l’assistenza del familiare. Sebbene sia possibile un po’ di svago, magari con una passeggiata non troppo distante dall’abitazione del familiare, sono completamente da evitare le attività ludiche e di svago, tra cui discoteche, gite fuori porta, sport o stare al bar con gli amici. Si tratta di azioni incompatibili con l’intento dato dalla legge a questi permessi, che comunque non devono essere sfruttati per occuparsi delle proprie esigenze approfittando dell’assenza lavoro.
Non si può restare a casa a dormire né tantomeno svolgere altre prestazioni di lavoro durante le ore di permesso. Non è nemmeno possibile restare a casa o in un altro luogo a disposizione del familiare soltanto “a chiamata” in caso di necessità, questo diritto deve concretamente essere impiegato per l’assistenza, pianificata tenendo conto della durata dei permessi. Lo svago e il relax sono invece ammessi se a beneficiarne è il familiare disabile, a cui il lavoratore fornisce l’assistenza.
Come già anticipato, non ci sono limitazioni di sorta, invece, per il lavoratore che ottiene il congedo per sé stesso, a patto che non si svolgano altri lavori.
Cosa rischia chi non rispetta le regole
Chi non rispetta le regole e abusa dei permessi legge 104 può ricevere una sanzione disciplinare dal datore di lavoro. L’entità della sanzione deve essere proporzionata alla violazione affinché sia legittima, tenendo quindi conto delle motivazioni, del tempo sottratto all’assistenza e dell’eventuale comportamento pregresso. Nei casi più gravi si arriva quindi anche al licenziamento disciplinare.
In realtà, nei casi più gravi le conseguenze vanno ben oltre il lavoro, perché si rischia l’accusa di truffa (la vittima è l’Inps, ma la denuncia può provenire anche dal datore di lavoro o semplicemente essere accertata dalle autorità, trattandosi di un reato procedibile d’ufficio). Si tratta di un reato molto grave, che presume però un vero e proprio raggiro o nell’ottenimento dei permessi o nel loro utilizzo improprio, per motivi estranei al loro scopo legale. Un’accusa che ovviamente cadrebbe anche sul lavoratore che ha finto con dei raggiri il proprio handicap.
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