Aurora Marinaro - 15 maggio 2024
Equiparazione delle coppie conviventi nell’Esercito, facciamo chiarezza
I conviventi di fatto sono equiparati ai coniugi nell’Esercito Italiano? Serve fare chiarezza al riguardo.
In questi giorni l’Associazione sindacale Libera rappresentanza militare ha reso pubblica la richiesta inoltrata allo Stato Maggiore dell’Esercito avente ad oggetto l’equiparazione delle convivenze al coniugio rispetto ai diritti del personale delle Forze Armate.
Un’uguaglianza già supportata dalla legge n. 76 del 20 maggio 2016, nota anche come legge Cirinnà, che non disciplina soltanto le unioni civili ma anche le convivenze di fatto, equiparate al matrimonio in riferimento a diversi diritti. L’intervento dell’Associazione non è quindi stato compreso appieno, perché lascia aperto un quesito: come mai la richiesta avviene soltanto ora? Cerchiamo di fare chiarezza.
Equiparazione delle coppie conviventi nell’Esercito Italiano
La legge Cirinnà definisce i “conviventi di fatto”, intendendo così le coppie di soggetti maggiorenni non vincolate reciprocamente da altri rapporti ma “unite stabilmente da legami affettivi” che convivono stabilmente. Ai conviventi di fatto vengono riconosciuti dalla legge la maggior parte dei diritti previsti per le coppie sposate, ma non riguardo all’eredità.
Attenzione, però: la legge si riferisce esclusivamente a coloro che hanno stipulato un accordo di convivenza, una semplice formalità che si pone come alternativa al matrimonio per tante famiglie per essere certe di avere una tutela giuridica.
Non c’è, invece, una tutela legale vera e propria per le cosiddette coppie di fatto, ossia persone unite affettivamente e che vivono insieme, anche formando un nucleo familiare, ma che non hanno ufficializzato i propri rapporti in qualche modo. Si potrebbe quindi pensare che la richiesta dell’Associazione sindacale Libera rappresentanza militare si riferisca in modo specifico a queste coppie, poiché non godono di una legge specifica che le tuteli.
C’è però molta confusione in proposito, intanto perché la lacuna legislativa è in parte soppiantata dalla vasta giurisprudenza al riguardo e in secondo luogo perché la stessa richiesta del sindacato usa l’uno e l’altro termine indistintamente nel testo. Una svista, anche comprensibile, che però può pregiudicare concretamente la riuscita dei propri intenti. Nel primo paragrafo, tuttavia, viene chiaramente citata la legge Cirinnà con tanto di virgolettato della definizione fornita dalla stessa sulle convivenze di fatto. Ancora, nel quarto paragrafo, l’Associazione parla di equiparazione tra matrimoni, unioni civili e convivenze “attestate da certificazioni anagrafiche”.
Insomma, la richiesta di equiparazione mossa allo SME si riferisce alle convivenze di fatto, nonostante qualche lapsus, e non alle coppie di fatto. Queste ultime, come già detto, non hanno accertato la convivenza e quindi non sono a priori equiparate per legge a quelle unite dal vincolo matrimoniale. La richiesta di uguaglianza in loro proposito sarebbe quindi stata almeno comprensibile, invece così rimangono diversi interrogativi.
Si potrebbe presupporre che l’intervento sindacale accusi le Forze Armate di non essersi adeguate alla legge a distanza di diversi anni, attuando così delle discriminazioni infondate nel personale. In effetti, viene citato un precedente giurisprudenziale che però è relativo al 2019, mentre il fatto in questione (la negazione di un’istanza di trasferimento per il ricongiungimento familiare a un Carabiniere in virtù dell’assenza di matrimonio) è ancora precedente. Il Tar Reggio Calabria ha comunque annullato il diniego dell’amministrazione con la sentenza n.321 del 10 maggio 2019.
Viene quindi richiesto all’amministrazione un “autorevole intervento” per eliminare la presunta esclusione del personale non sposato da alcuni diritti. Cercando di interpretare la questione, è probabile che il sindacato voglia la modifica della regolamentazione interna delle Forze Armate, tra direttive e circolari che menzionano esclusivamente il coniuge potendo destare dubbi nella loro applicazione.
Bisogna però notare che non si può parlare di vera e propria discriminazione, mancando completamente un riferimento legislativo in proposito alla tutela della familiarità, delegata alle sole disposizioni interne. Più che la modifica di ogni singola disposizione di tutte le Forze Armate sarebbe dunque opportuno promuovere un intervento legislativo che riguardi la tutela della familiarità e della genitorialità dell’intero personale.
Volendo essere precisi, basterebbe una specificazione della citata legge Cirinnà che stabilisca in modo chiaro l’equiparazione generale dei conviventi di fatto ai coniugi, come è avvenuto per le unioni civili, ma ovviamente non è un impegno che spetta ai sindacati militari, che dovrebbero invece concentrarsi sui diritti e gli interessi dei lavoratori rappresentati.
Tra gli svariati problemi che sta affrontando l’Esercito Italiano, anche in relazione agli alloggi, si tratterebbe per lo più di una pignoleria se non mossa da una ragione specifica (o non specificata). Non perché ci siano diritti più importanti di altri, è legittimo che tutti gli interessi a cuore del personale siano difesi, ma perché non c’è una vera lesione di un diritto. Come anticipato, i Tribunali Amministrativi Regionali hanno in più occasione equiparato i diritti dei conviventi di fatto a quelli dei coniugi, nel pieno rispetto della posizione della Corte europea dei diritti dell’uomo che chiede l’eguaglianza di tutte le formazioni familiari.
Anche il Consiglio di Stato, un organo di rilevanza costituzionale che funge anche da organo di Appello avverso le sentenze dei Tar, si è spesso pronunciato sull’equiparazione. Il sindacato chiede che l’eguaglianza sia sostanziale, ma ciò che manca in questo caso specifico è la norma. È vero che le sentenze si applicano alle parti interessate e non hanno carattere generale, ma d’altra parte distaccarsi da questo orientamento tanto consolidato richiederebbe una certa eccezionalità del caso.
Ciò che serve, nell’attesa di una norma specifica, è che le amministrazioni modificano le proprie disposizioni interne in modo conforme all’orientamento della giustizia amministrativa e comunque rispondendo ai diritti dei militari, cosa che d’altronde sarebbero con tutta probabilità chiamate a fare in eventualità di ricorsi al Tar per l’illegittimità di alcune disposizioni, ma per le quali al momento non hanno un vero e proprio obbligo.
Il fatto è che ad oggi non c’è motivo di ritenere che le amministrazioni stiano negando trasferimenti o altri tipi di misure in virtù di ciò o, perlomeno, non sono stati portati all’attenzione problemi analoghi né dal citato sindacato né da altre sigle.
La conseguenza è che l’indubbio impegno e l’intento positivo si sono scontrati con l’assenza di una formulazione chiara, tanto che la risposta apparentemente positiva dello Stato Maggiore dell’Esercito, assicura solo di rispettare la legge Cirinnà e il benessere familiare del personale, in modo altrettanto generico e senza preannunciare ulteriori interventi.
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