Reato di disobbedienza, quando il militare non è punibile

Reato di disobbedienza, quando il militare non è punibile

La disobbedienza del militare non è punibile se sussiste la tenuità del fatto: cos’ha deciso la Cassazione.

Di recente la Corte di Cassazione è intervenuta su un ricorso riguardante il reato di disobbedienza del militare, che si configura quando il militare non si attiene agli ordini ricevuti dei superiori, al sussistere di determinate condizioni. Nel dettaglio, è stata nuovamente approfondita l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Nel diritto penale, infatti, è in alcuni casi possibile non applicare le sanzioni correlate a un reato, quando quest’ultimo non ha prodotto effetti negativi rilevanti. Vediamo nel dettaglio cosa hanno stabilito i giudici.

Il reato di disobbedienza del militare

L’articolo 173 del Codice penale militare di pace individua il cosiddetto reato di disobbedienza militare, che si configura quando il militare non esegue oppure esegue in ritardo un ordine ricevuto da un superiore riguardante il servizio o la disciplina. La pena è la reclusione militare fino a un anno, salvo aggravanti. In particolare, la pena è della reclusione tra 6 mesi e 1 anno se il fatto è commesso in servizio, a bordo di una nave o di un aereo, mentre arriva fino a 5 anni in circostanze di grave pericolo.

Ci sono degli elementi insostituibili che caratterizzano questo reato, ossia:

  • l’omissione, il rifiuto o il ritardo nell’esecuzione dell’ordine;
  • l’ordine deve essere attinente a ragioni di servizio o di disciplina;
  • l’ordine deve essere intimato da un superiore.

Non sempre, dunque, ci si trova davanti a una fattispecie penalmente rilevante. Oltretutto, molte condotte risultano non punibili per la particolare tenuità del fatto, nel rispetto del principio di proporzionalità che regola l’ordinamento italiano, compreso quello militare. La giurisprudenza ha chiarito che in tema di disobbedienza militare l’entità del fatto deve essere valutata tenendo conto dei seguenti fattori:

  • condotta;
  • danno;
  • colpevolezza.

Disobbedienza, quando il militare non è punibile

Bisogna quindi guardare anche alle motivazioni che hanno portato al comportamento e all’insieme di condizioni soggettive che hanno portato alla violazione dell’ordine, non necessariamente un atto di insubordinazione fine a sé stesso. Su questo punto, però, di recente la Corte di Cassazione ha specificato che ha priorità l’incidenza del fatto sulla regolarità e l’efficienza del servizio.

Questo parametro, che la Cassazione ha confermato essere fondamentale per ponderare l’offensività della condotta, in ultimo con la sentenza n. 33369 del 3 settembre 2024, è infatti oggettivo e concreto. Le condizioni soggettive, relative anche al grado del militare o all’eventuale sfiducia verso i superiori, non sono rilevanti per valutare la gravità disobbedienza, almeno quando non costituiscono ulteriori reati.

Per un’analisi quanto più oggettiva della situazione bisogna comunque ricordare che la disciplina militare, intesa come l’insieme di regole di condotta che includono anche l’obbedienza, non è fine a sé stessa, ma è indispensabile alla realizzazione dei compiti istituzionali a cui sono chiamate le Forze Armate.

In altre parole, il reato di disobbedienza commesso dal militare diventa rilevante quando ostacola in maniera pratica e direttamente conseguente lo svolgimento del servizio ma anche quando evidenzia il mancato rispetto della disciplina, tale da pregiudicare la condizione stessa di militare.

Il caso preso in esame dalla Corte di Cassazione nella sentenza richiamata riguardava un militare graduato, accusato del reato di disobbedienza aggravata per il mancato rispetto dell’ordine di un superiore. Nel dettaglio, gli era stato intimato di interrompere la registrazione di un colloquio che stava eseguendo con il proprio cellulare.

Il ricorrente ha portato in propria difesa il fatto che la convocazione riguardasse ragioni prettamente personali, ritenendo così legittima la registrazione, non attinente a motivi di servizio. In realtà, questa tesi è stata smentita dagli Ermellini, che hanno ricordato la possibilità di tutelarsi in maniera legale, eventualmente presentando un esposto scritto contro la convocazione ritenuta illegittima. Il ricorso è stato accolto semplicemente per la mancanza di gravità del fatto, che non ha avuto riflessi sul servizio, anche perché la conversazione è rimasta “segreta”.

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