Forze Armate, cosa cambia con l’approvazione del Ddl Nordio

Forze Armate, cosa cambia con l'approvazione del Ddl Nordio

Il Ddl Nordio è stato approvato, con annesse modifiche al Codice dell’ordinamento militare. Ecco cosa cambia per le Forze Armate e perché c’è ancora molto da fare.

È stato approvato definitivamente il Ddl Nordio, che introduce modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e anche al Codice dell’ordinamento militare. Quest’ultimo è in particolare interessato dall’articolo 6 del disegno di legge (presto legge a tutti gli effetti) che cambia le condizioni ostative all’avanzamento di grado dei militari coinvolti in procedimenti penali. Una novità importante per il personale delle Forze Armate, che sarà così tutelato da conseguenze ingiuste in caso di accuse false, mosse per ritorsioni personali o prospettate per avere un tornaconto.

Prima che questa tutela diventi effettiva, tuttavia, c’è ancora una lunga strada da percorrere. Ci si riferisce soprattutto ai provvedimenti cautelari, che possono ancora segnare per sempre la vita e la carriera di un militare senza alcuna certezza di diritto in merito alla loro colpevolezza. Ciononostante, bisogna comunque prendere atto del cambiamento appena introdotto, visto che risponde a criticità da tempo lamentate dal personale, timorosi soprattutto a causa delle liti familiari.

Ddl Nordio, cosa cambia per le Forze Armate

Come anticipato, il Ddl Nordio interviene sul Codice dell’ordinamento militare per quanto riguarda le limitazioni all’avanzamento di carriera per i militari interessati da procedimenti penali. Nel dettaglio, il secondo comma dell’articolo 1051 del COM stabilisce che sono esclusi dall’inserimento nell’aliquota di avanzamento e dalla valutazione per l’avanzamento i militari:

  • rinviati a giudizio o ammessi a riti alternativi per delitto non colposo;
  • sottoposti a procedimenti disciplinari che possono comportare una sanzione di stato;
  • sospesi dall’impiego o dalle funzioni di grado;
  • in aspettativa per una durata superiore a 60 giorni.

È proprio il primo punto, la lettera a, che ha creato difficoltà ai militari. Il rinvio a giudizio di per sé non indica nulla sulla posizione del soggetto accusato, significando semplicemente l’apertura del processo penale poiché il pubblico ministero ha indizi di responsabilità. Di pari passo, anche l’ammissione ai riti alternativi non dice nulla di più oltre alle modalità processuali concordate. Il passo da una querela a un rinvio a giudizio può essere breve, soprattutto per alcuni reati, e di per sé non indicativo della colpevolezza, anche perché altrimenti non avrebbe senso di esistere l’intero sistema processuale.

Il disegno di legge cambia la lettera a, disponendo che l’avanzamento sia precluso soltanto ai militari:

nei cui confronti sia stata emessa, per delitto non colposo, sentenza di condanna in primo grado ovvero sentenza di applicazione della pena su richiesta o decreto penale di condanna esecutivo, anche qualora la pena sia condizionalmente sospesa.

Insomma, nessuna conseguenza prima della sentenza di primo grado (che peraltro potrebbe non essere confermata dagli eventuali altri gradi di giudizio), affinché le ripercussioni professionali siano limitate all’esistenza di presupposti significativi di responsabilità nel reato contestato.

Perché la modifica al COM non basta

Resta però il problema dei provvedimenti cautelari, in particolare per quanto riguarda il rischio di sospensione dell’impiego (che per il personale delle Forze Armate può arrivare a durare anche 10 anni), non essendo l’istituto regolamentato con precisione. C’è un eccessivo margine lasciato all’interpretazione nei casi in cui i delitti contestati al militare siano previsti dal Codice penale, potenzialmente commissibili da qualsiasi cittadino.

Anche in questo caso sarebbe opportuno evitare conseguenze limitanti sull’impiego in caso di mera imputazione, oltre a chiarire i parametri di valutazione della gravità del reato nell’istituto della sospensione precauzionale facoltativa.

Non appare equo limitare così fortemente la vita professionale di un individuo senza alcun presupposto di responsabilità, soprattutto tenendo conto del rilievo che la carriera militare assume anche nella sfera privata e familiare degli interessati. Considerando l’attenzione mostrata dal ministro della Giustizia alla tutela della reputazione e della dignità dei soggetti interessati da procedimenti penali sembra lecito attendere un intervento più specifico, che tenga conto delle particolari esigenze delle Forze Armate.

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