Emilia Morelli - 14 dicembre 2018
Suicidi nelle Forze Armate: la drammatica situazione
Il numero dei militari morti suicidi è in forte aumento. Le cause possono essere varie e innumerevoli; il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta si dimostra sensibile e propone soluzioni anche istituendo un’apposita commissione
Allarme nell’esercito, i suicidi tra i militari sono in costante aumento e nell’80% dei casi si suicidano con la pistola d’ordinanza: è questa l’agghiacciante realtà che colpisce il sistema delle Forze Armate.
Lo stress, la vita di caserma, i controlli psicologici inesistenti sono soltanto alcune delle cause che determinano la morte autoindotta dei soldati.
Nel 2012 il Ministero della Difesa degli Stati Uniti ha annunciato che il numero dei militari morti suicidi aveva di gran lunga superato quello dei morti in battaglia, giungendo ad una media di uno al giorno.
In Italia i numeri dimostrano chiaramente la tragicità della situazione: negli anni tra il tra il 2012 e il 2016, ultimo anno in cui i dati sono disponibili, sono 255 i militari morti suicidi. 42 casi solo nel 2012.
Probabili cause
Il dato, preoccupante, è che la situazione di evidente disagio che conduce al suicidio dei militari è stata, finora, sottaciuta dalle istituzioni. L’allarme non può essere, invece, sottovalutato. Troppo spesso si tende a sminuire il gesto estremo come causato da problemi personali, mai derivante da cause legate all’organizzazione o alla totale mancanza di prevenzione.
Risulta, dalle dichiarazioni dei militari, chiaramente che i controlli psicologici sono stati di fatto inesistenti. È palese, invece, che l’intervento costante in situazioni di pericolo, a contatto con situazioni a forte carica emotiva conduce a uno stress cronico, magari aggravato dalla vita militare gerarchicamente organizzata.
Spesso il suicidio per i militari rappresenta quella che loro vivono come unica forma di affrancazione, come unica forma di rivendicazione della propria libertà contro alle coercizioni subite.
Oppure si pensi, ad esempio, ad un militare ferito in battaglia. Il militare non avrebbe bisogno di assistenza psicologica? Non ha subito un forte stress le cui conseguenze si riverberano nel futuro causandogli un trauma permanente?
La soluzione
Occorre un supporto costante ai militari, supporto psicologico di medici esterni all’Arma che siano in grado di diagnosticare in maniera imparziale la reale situazione che vive la mente dell’uomo in divisa.
Elisabetta Trenta, Ministro della Difesa, si dimostra attenta alla drammatica situazione. La Trenta osserva che dietro ad un suicidio le variabili sono tante e molteplici e sottolinea:
“Ho chiesto un impegno forte per la prevenzione del fenomeno suicidario. So bene che molti suicidi sono dovuti a cause personali e familiari, ma non è il caso di minimizzare dicendo che i suicidi tra le forze armate sono nella media. Un’organizzazione in cui l’uso delle armi fa parte della normale operatività deve essere più responsabile e più capace di cogliere quei segnali d’allarme, qualora ci siano, che potrebbero aiutarci a prevenire un fenomeno che nel 2018 risulta in aumento”.
Risulta ad oggi, inoltre, che sia stata istituita un’apposita commissione cui sono stati demandati una serie di approfondimenti specifici su questo tema. In proposito, Trenta ha aggiunto:
“I militari devono essere rassicurati sul fatto che chiedere assistenza psicologica non creerà loto in automatico problemi di carriera e un percorso di recupero ben fatto può renderli anche più forti a vantaggio dell’esigenza operativa. E’ poi necessario un servizio costante di monitoraggio dei casi possibili, cioè di tutti i militari che possono essere coinvolti in incidenti, attentati, terremoti, eventi di pubblica calamità”.
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