Aumenti di stipendio dipendenti pubblici, perché è importante la sentenza n. 34 del 1985 della Corte Costituzionale

Aumenti di stipendio dipendenti pubblici, perché è importante la sentenza n. 34 del 1985 della Corte Costituzionale

Si chiedono e si sperano aumenti di stipendio per i dipendenti pubblici, ma è davvero possibile contrastare così l’inflazione? Ecco cosa insegnano le decisioni della Corte Costituzionale.

Gli aumenti di stipendio per i dipendenti pubblici sono ovviamente ambiti e sperati, tanto per i lavoratori quanto per i sindacati che li rappresentano. Incrementare i salari in modo ampio e generale sarebbe senza dubbio un grande aiuto per le famiglie italiane, ma non è possibile essere tanto semplicistici. Il funzionamento dell’economia è molto più complesso, senza contare anche il limite delle risorse a disposizione.

La giurisprudenza offre delle chiavi di lettura decisamente utili a capire quali sono le effettive possibilità per il personale, tra cui la sentenza n. 34/1985 della Corte Costituzionale. La rilevanza della giurisprudenza costituzionale è stata ricordata dal professore Nicola De Marinis nel nostro confronto con i sindacati delle Forze Armate, ma di fatto è importante per tutti i dipendenti pubblici. Ecco perché.

La sentenza n. 34 del 1985 della Corte Costituzionale

La sentenza n. 35 del 1985 della Corte Costituzionale si esprime sull’ammissibilità del referendum popolare per l’abrogazione parziale dell’articolo unico della legge 12 giugno 1984, n. 219, riguardante tariffe, prezzi amministrati e indennità di contingenza. Per intenderci, si tratta del provvedimento che ha bloccato la cosiddetta scala mobile per contrastare l’inflazione.

In tal proposito, ci sono svariate sentenze che andrebbero richiamate per comprendere più a fondo la situazione, anche relativamente alla stessa scala mobile (che ricordiamo essere uno strumento economico per cui i salari vengono automaticamente indicizzati all’aumento di prezzo di alcuni beni). La più rilevante in questo senso è però, la sentenza n. 34 del 1985 della Corte Costituzionale che conferma la legittimità della legge citata.

C’è anche la sentenza n. 60 del 1968 della stessa Corte che ribadisce:

(...) la potestà, proprio della legge, al fine della tutela di superiori interessi generali, affidata agli organi politici, di limitare l’ambito della contrattazione stessa con norme da questa non derogabili.

Ancora, la sentenza n. 43 del 1980 ricorda che:

Il legislatore ben può adeguare la retribuzione alle variazioni nel costo della vita con interventi adottati di volta in volta senza essere vincolato all’adozione di meccanismi automatici.

Perché è importante per gli aumenti di stipendio nel pubblico impiego

La Corte Costituzionale ha ricordato in queste occasioni che il governo ha una certa libertà di gestione della politica economica, con una discrezionalità del tutto legittima finché motivata da ragioni valide e di interesse comune. In secondo luogo, la crescita del dato inflattivo non comporta in maniera automatica l’obbligo di incrementare parimenti la retribuzione.

Questo naturalmente non significa che i dipendenti pubblici non possono sperare negli aumenti di stipendio, visto e considerato che va comunque garantita a tutti i lavoratori una retribuzione dignitosa e proporzionata alle mansioni svolte. Il problema è piuttosto che la comprensibile preoccupazione per gli aumenti del costo della vita può non trovare il riscontro sperato nelle sedi di contrattazione, senza che sia possibile oltrepassare i limiti posti dal governo, ammesso che siano giustificati.

La disponibilità di una certa quantità di risorse e il modo in cui sono distribuite nei vari comparti si pone in questo senso come un limite, che le parti possono tentare di discutere direttamente con il governo per capirne le motivazioni e trovare i compromessi migliori possibili. Non a caso, molti sindacati delle Forze Armate chiedono a gran voce un incontro con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, proprio al fine di trattare della questione.

Rileva in questo senso anche tutto quell’insieme di misure che incidono sullo stile di vita dei lavoratori pur non attenendo in modo specifico alla retribuzione, le tutele normative, le disposizioni relative a orari, permessi e congedi, ma anche le componenti accessorie del salario. Il miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti pubblici può essere ottenuto, dal punto di vista giuridico, soltanto gestendo in modo puntuale tutti questi elementi rilevanti e va letto rispetto alle risorse disponibili, piuttosto che in modo assolutistico. Resta, ovviamente, compito del governo di gestire la politica economica al meglio delle proprie possibilità e tutelare tutti i cittadini, anche dalla crescita del dato inflattivo.

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