Aurora Marinaro - 2 dicembre 2024
Forze Armate, il reato di ubriachezza in servizio secondo la Cassazione
Il reato di ubriachezza in servizio per i militari, ecco quando si configura secondo la Corte di Cassazione e come viene punito.
Come il personale delle Forze Armate sa bene, ma tutti gli altri spesso ignorano, i militari sono soggetti a una propria legge penale. Ci sono reati che soltanto il militare può commettere, tra cui quello di ubriachezza in servizio. Quest’ultimo è disciplinato dall’articolo 139 del Codice penale militare di pace, che regolamenta anche l’uso di stupefacenti. La norma, comunque, stabilisce che il militare ubriaco in servizio (o dopo essere stato comandato per il servizio) è punito con la reclusione militare fino a 6 mesi. Attenzione, non si parla dell’assunzione di alcolici in servizio, bensì dell’ubriachezza manifesta durante lo stesso.
Ciò riguarda lo stato di ubriachezza, colposo o doloso, tale da pregiudicare la capacità di prestare servizio. Quando questo reato viene commesso dal Comandante del reparto o da un militare preposto al servizio o capo di posto, la pena sale fino a 1 anno di reclusione militare. Queste disposizioni si applicano anche al militare incapace di prestare servizio pienamente a causa dell’assunzione di stupefacenti, tenendo conto che quest’ultima condotta configura sempre un illecito disciplinare (mentre per l’alcol viene sanzionato l’abuso).
In tal senso, si precisa che la reclusione militare viene scontata negli appositi stabilimenti di pena, di norma le carceri militari, con obbligo del lavoro. L’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto è in ogni caso applicabile, dove sussistono i requisiti, anche ai reati militari, così come può essere ottenuta la sospensione condizionale della pena laddove ce ne sono i presupposti. Concentriamoci però sulla corretta interpretazione della fattispecie di reato, grazie ai preziosi chiarimenti della Corte di Cassazione.
Quando si configura il reato militare di ubriachezza in servizio
Come anticipato, la Corte di Cassazione ha affrontato in più occasioni la configurabilità del reato militare di ubriachezza in servizio. I giudici hanno così contribuito a chiarire ulteriormente l’interpretazione della norma e della sua applicazione. La recente sentenza n. 41118/2024, in particolare, ha ricordato qual è l’oggetto tutelato da questo reato: il corretto e regolare svolgimento del servizio cui è chiamato il militare.
Per questo motivo, infatti, il reato si configura esclusivamente quando c’è una condizione di ubriachezza manifesta che mette a repentaglio il servizio, in quanto il militare ha capacità compromesse in tutto o parzialmente a causa dell’ebbrezza. In altre parole, non è rilevante l’eventuale tasso alcolemico del militare o l’assunzione di bevande alcoliche in sé e per sé, ma soltanto la compromissione del servizio, anche qualitativa, se esistente.
Anche perché l’accertamento dell’ubriachezza non deve necessariamente avvenire a mezzo degli agenti di Polizia giudiziaria o tramite l’esecuzione di test, bensì può essere constatato con i propri occhi da qualsiasi soggetto, anche un privato cittadino. Ciò era stato chiarito già dalla sentenza n. 33780/2013 della Corte di Cassazione, che appunto definisce l’interpretazione corretta del “essere colto in stato di ubriachezza” citato dalla legge.
Di fatto, si parla di un visibile stato di alterazione che si riflette sulle capacità di portare a termine i propri compiti in maniera efficiente. Lo stato di ubriachezza deve però essere “certo ed evidente”, oltre che pregiudicare il servizio determinato cui il militare è stato chiamato, come sottolineato anche dalla sentenza n. 3343/2011 della Cassazione.
Va comunque ricordato che il procedimento penale non scatta in automatico, ma deve prima essere richiesto espressamente dal Comandante, che per i reati militari con reclusione fino a 6 mesi può discrezionalmente optare per la sanzione disciplinare.
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