Rinnovo di contratto Forze Armate, cosa si può fare (davvero)

Rinnovo di contratto Forze Armate, cosa si può fare (davvero)

Ecco una sintesi dell’intervento del professore Nicola De Marinis in occasione del nostro confronto sulle APCSM sul rinnovo di contratto e il trattamento del personale delle Forze Armate.

Come ricorderete, ForzeItaliane.it ha tenuto un confronto tra le APCSM che ha visto anche l’intervento di massimi esperti, tra cui il professore Nicola De Marinis. Docente universitario, magistrato della Corte di Cassazione dove è consigliere addetto alla sezione Lavoro, nonché autore di un centinaio di pubblicazioni scientifiche sul diritto del lavoro e sulla materia sindacale. Un’autorevolezza nel campo senza paragoni, motivo per cui abbiamo scelto di riportare qui i contenuti delle preziose indicazioni ricevute durante l’intervista (che potete comunque rivedere sul nostro canale Facebook).

Rinnovo di contratto, alzarsi dal tavolo “non ha una grande presa”

In questa fase delle trattative sul rinnovo di contratto del comparto Difesa e Sicurezza, alla luce delle diverse posizioni delle sigle sindacali, non poteva mancare una domanda sull’abbandono del tavolo contrattuale da parte dei sindacati. Secondo il professore De Marinis interrompere le trattative non è una strategia funzionale in questo specifico caso, perché manca l’appoggio dello sciopero presente nella negoziazione in sede privata.

Partecipando alla contrattazione le sigle possono manifestare il proprio dissenso e raggiungere ipotesi di accordo più soddisfacenti, ma non potendo impedire la conversione in Decreto del Presidente della Repubblica i sindacati rischiano così di ottenere meno tutele, perché non hanno strumenti con cui avvalorare o tanto meno forzare la propria posizione.

Per questo “al tavolo è meglio esserci”, dato che il decreto legislativo n. 195/1995 non subordina il rinnovo di contratto all’accordo con la Funzione Pubblica, limitandosi a includere i sindacati nel dialogo. Per questo il magistrato De Marinis ha sottolineato la necessità di un intervento volto a chiarire in modo definito la negoziazione sindacale.

Concentrarsi sul salario accessorio, non si può chiedere la compensazione dell’inflazione

Un grande motivo di preoccupazione per i sindacati delle Forze Armate è il dato inflattivo, che le risorse attuali messe in campo non riescono a compensare se non in modo minimo. Per venire incontro alle esigenze del personale e puntare a una migliore valorizzazione economica, tuttavia, è importante concentrarsi sul salario accessorio e sulla definizione normativa.

Questo perché nessuna legge obbliga il governo a recuperare in modo integrale l’inflazione, cosa che infatti non è mai avvenuta nemmeno nel settore privato, ci ha ricordato il professore. Per questo motivo le APCSM non hanno molti margini di manovra in questo senso e dovrebbero concentrare gli sforzi sulla componente accessoria.

In questo senso, il professore De Marinis ha posto l’accento sulla possibilità di negoziazione in sede decentrata, che permetterebbe anche di ragionare sulle problematiche legate alle residenze. La questione è anche di equità, visto che alle Forze di Polizia a ordinamento civile è stato riconosciuto molto di più.

La costruzione di un fondo per l’accessorio trova riscontro nella storia di tutto il pubblico impiego e con un intervento normativo sarebbe possibile definire l’aspetto delle risorse e incrementare il salario accessorio e favorirlo rispetto alla forfettizzazione.

Per arrivare a ciò serve innanzitutto colmare un vuoto normativo, visto che le limitazioni all’attività sindacale militare impediscono la piena discussione di una parte del trattamento. Gli orari di lavoro e i trasferimenti, per esempio, sono sanciti da fonti legislative, con una ridotta possibilità di dialogo in logica negoziale. Serve darsi da fare su questo aspetto, perché anche secondo il magistrato “il personale militare non ha un trattamento parificato”, come dimostrato dall’utilizzo della legge n. 46/2022 (attuazione delle APCSM) per destinare 10 milioni di euro al personale civile.

Poco spazio per un ricorso, insistere sulla tutela normativa

L’opinione del professore De Marinis è che non ci sia spazio per un ricorso contro un rinnovo di contratto non soddisfacente. Con grande spirito analitico il magistrato si è detto aperto a confrontarsi con eventuali giuristi di diversa opinione, confermando però con la sua conoscenza (ed esperienza in Cassazione) che sembrano mancare tutti i presupposti.

Non soltanto nessuna legge impone al governo di adattarsi al dato inflattivo, ma c’è anche un consolidato orientamento giurisprudenziale che conferma il potere di sovrapporsi alle parti sociali per la gestione della politica economica. Ci è stato ricordato, infatti, che la Corte Costituzionale ha già affrontato un caso simile, ammettendo il blocco della scala mobile per i salari. Allora, c’era perfino un accordo operativo tra le parti per recuperare l’inflazione con l’indennità di contingenza, ma i giudici hanno ritenuto legittimo il blocco del governo Craxi.

In tempi più recenti, la stessa Corte ha bocciato il blocco della scala mobile sulle pensioni della cosiddetta riforma Fornero, considerando tuttavia i diritti costituzionalmente garantiti in materia di previdenza e rilevando la mancanza di motivate ragioni per giustificare la scelta economica. In questo caso, però, il problema della perequazione si è posto in termini di “minimo vitale” per i pensionati e non come generico rapporto rispetto al potere d’acquisto.

Dunque, secondo il professore De Marinis nessun giudice italiano o tanto meno europeo potrebbe definire illegittimo il rinnovo non parificato al dato inflattivo, motivo per cui invita alla costruzione di un sistema di tutela sindacale stabile per il futuro.

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