Unifil, i militari possono rispondere al fuoco?

Unifil, i militari possono rispondere al fuoco?

I militari di Unifil possono rispondere al fuoco? Ecco cosa prevedono le regole e cosa potrebbe cambiare.

Gli attacchi dell’esercito israeliano contro le basi italiane di Unifil in Libano hanno destato notevole preoccupazione. Il governo italiano si è ampiamente mobilitato per la sicurezza dei militari e continuerà ad attenzionare la situazione per preservarla. Le decisioni riguardanti la missione Unifil spettano all’ONU e non ai singoli Paesi, motivo per cui provvedimenti come il ritiro delle truppe non spettano all’Italia (che comunque non sarebbe favorevole).

L’Italia ribadisce infatti l’importanza della missione Unifil e della permanenza dei militari in Libano. La Difesa italiana sta piuttosto attuando pressioni affinché vengano riviste le regole d’ingaggio per garantire al personale la massima tutela possibile. La richiesta è generica e lascia spazio a diverse possibilità, dall’aumento dei militari - come il ministro stesso ha ammesso - alla risposta al fuoco israeliano.

I militari di Unifil possono rispondere al fuoco?

Proprio sulla possibilità di reazione del contingente Unifil verte la provocazione del ministro Crosetto all’ambasciatore e al ministro della Difesa israeliani.

Cosa succede la prossima volta? Dobbiamo rispondere?

Come spiegato proprio dal ministro si è trattato di una reazione volutamente aspra, motivata proprio dagli inauditi attacchi mossi dalle truppe israeliane, che aprendo il fuoco contro le basi Unifil - missione di pace fra le parti - hanno apertamente violato il diritto internazionale.

È una domanda provocatoria per dirgli la gravità dell’atto che era stato compiuto. È difficile rispondere a una domanda così, soprattutto quando è posta con quella rabbia che ho manifestato prima e con un certo tono.

Difficile non comprendere le ragioni che hanno portato a queste affermazioni, vista la delicata situazione che stanno affrontando i militari in Libano. Il personale, infatti, è fortemente limitato nell’operatività e non può rispondere al fuoco. Vista la priorità della missione Unifil in Libano condivisa dall’ONU e quella della sicurezza dei militari posta dalla Difesa italiana, appare sensato rivedere tale limite, quanto meno in casi assolutamente eccezionali.

La risposta al fuoco pare così un rischio da correre, con tutti i possibili effetti collaterali sugli equilibri internazionali, anche se da cercare di evitare con il massimo sforzo. Non a caso è già tempo che l’Italia chiede di rivedere le regole d’ingaggio, consapevole dell’instabilità della situazione geopolitica e della minaccia incombente nelle aree operative di Unifil.

È un anno e mezzo che io chiedo il cambio delle regole d’ingaggio. Quello che sta succedendo è, purtroppo, quello che dico da un anno e mezzo, inascoltato, a tutti i livelli: l’ho formalizzato, l’ho scritto, l’ho detto. Quindi, più di così l’Italia non poteva fare.

Certo, lo snodo cruciale resta la collaborazione con il governo israeliano, il cui esercito ha aperto un’indagine formale sugli attacchi alle basi italiane, a cui Crosetto lancia un appello: difendersi, ma senza violare il diritto internazionale e soprattutto senza mettere a repentaglio l’incolumità del personale della missione di pace. Missione fondamentale per contenere il conflitto, che sta comunque mietendo vittime, per lo più “civili inermi”.

Nel frattempo, ci si prepara a ogni scenario possibile. Mentre sono in corso le attività diplomatiche, la Difesa rassicura sui mezzi a disposizione per la tutela dei connazionali in Libano. Sebbene non sia possibile disporre autonomamente della missione Unifil, nemmeno delle sole truppe italiane, l’Italia si prepara ad estrarre i militari italiani e gli altri connazionali dal Libano.

Al momento non viene ritenuto necessario e tutte le misure di sicurezza sono state rafforzate, ma i servizi aerei e navali sono stati preparati allo scopo, ha informato la Difesa. È importante ricordare in tal proposito che lo stesso contingente italiano ha dichiarato di voler rimanere sul posto a svolgere i propri compiti. Per il momento il “peace-keeping” impedisce la difesa proporzionale in caso di attacco, riservata all’esercito regolare libanese, che non è per ora in grado di rispondere adeguatamente. Per i fini stessi della missione, incluso lo scoraggiamento delle invasioni, si sta così valutando la revisione delle regole.

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