Conviventi di fatto nelle Forze Armate e di Polizia, cos’ha deciso la Corte costituzionale

Conviventi di fatto nelle Forze Armate e di Polizia, cos'ha deciso la Corte costituzionale

La Corte costituzionale è intervenuta nuovamente sulle convivenze di fatto, che considera equiparate ai matrimoni. Cambia qualcosa per le Forze Armate e di Polizia?

La mancanza di una normativa chiara e omogenea sulla posizione giuridica delle coppie di fatto e dei conviventi di fatto continua a subire allegoriche bacchettate dalle Corti, questa volta nuovamente dalla Corte Costituzionale. Quest’ultima, con la sentenza n. 148/2024 ha stabilito che il rapporto tra i conviventi di fatto è equivalente a quello tra coniugi nell’ambito di un’impresa familiare. Le motivazioni dei giudici rilevano che la disciplina in vigore non è affatto al passo con i tempi, vista la permanenza di distinzioni tra le varie formazioni familiari.

Il personale delle Forze Armate e di Polizia questo lo sa bene, visto che le leggi che regolano i diritti correlati al nucleo familiare (primo fra tutti il trasferimento per ricongiungimento) menzionano esclusivamente il coniuge. Non si possono nemmeno muovere accuse di discriminazione, perché la lacuna in tema di convivenze di fatto - per non parlare delle coppie di fatto che non vengono neanche menzionate - è così profonda da non lasciare spazi interpretativi.

Dal momento in cui c’è una legge o un regolamento interno che cita espressamente il matrimonio non è possibile per Comandi ed Enti estendere il diritto ai conviventi, c’è bisogno di un’innovazione più radicale. La speranza è sempre che i continui rimproveri giurisprudenziali trovino ascolto e portino a un cambiamento, per una disciplina più attinente alle vere esigenze dei militari. Una speranza rinnovata con l’ennesima sentenza che, sebbene estranea al mondo militare, conferma la cancellazione delle distanze tra coppie sposate e non.

Per la Corte Costituzionale la convivenza è equiparata al matrimonio

Ci sono due grandi problemi in merito all’equiparazione delle coppie non sposate a quelle unite nel vincolo matrimoniale: la totale mancanza di attenzione per le coppie di fatto e l’eccessiva specificità della legge Cirinnà. Bisogna infatti ricordare che le coppie di fatto si differenziano dai conviventi di fatto semplicemente per la mancanza del certificato anagrafico.

I dati dimostrano che tantissime coppie italiane formano una famiglia, assumendosi pienamente diritti e doveri del caso, pur senza ricorrere a questa formalità. Eppure, in modo del tutto anacronistico, le norme ignorano questi nuclei familiari e si distaccano dall’effettivo tessuto sociale. Le convivenze di fatto sono invece disciplinate dalla legge Cirinnà che anziché limitarsi a una generica equiparazione con i coniugi, indica minuziosamente alcuni diritti estesi, senza però citarli tutti.

Considerando le numerose difficoltà che hanno rallentato l’iter legislativo è anche comprensibile che questa legge non sia generica, come peraltro accade anche per le unioni civili, ma a distanza di 8 anni dalla sua promulgazione ci si aspettano dei passi in avanti. La vita familiare non è fatta esclusivamente di eventi gravi e particolari come la detenzione, le malattie invalidanti o l’infermità, ma anche - e soprattutto - di tante esigenze quotidiane di natura pratica.

Esigenze su cui stanno intervenendo le Corti di volta in volta, nell’attesa di un intervento legislativo generalizzato.

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Tutela della famiglia per le Forze Armate e di Polizia

Seppur l’incompleta equiparazione di coppie e convivenze di fatto con il matrimonio pesi su tutta la cittadinanza, è ovvio che al personale delle Forze Armate e di Polizia chiede sempre un sacrificio in più. Non è mai abbastanza ripetere che queste professioni sono uniche e particolari, già fortemente sacrificanti tanto per il militare quanto per il suo nucleo familiare. Avere regole omogenee e uguali per tutti sarebbe davvero un requisito di costituzionalità.

La nuova sentenza della Corte costituzionale potrebbe rappresentare un nuovo campanello d’allarme in merito, spingendo, forte di un consolidato orientamento della giurisprudenza, verso una vera riforma degli istituti sulla tutela familiare. Anche perché la situazione attuale è ai limiti del ridicolo. Paradossalmente, un militare potrebbe prendere importanti decisioni per il convivente in fin di vita ma rischia di vedersi negato il ricongiungimento familiare per essere più vicino alla famiglia.

Ancora, nell’ordinamento penitenziario il coniuge è equiparato al convivente di fatto. Un militare può quindi andare in carcere e fare un colloquio con il convivente detenuto senza prassi particolari ma rischia di non ottenere il trasferimento lavorativo. Nella completa confusione, poi, c’è un ulteriore dato allarmante: le istanze di trasferimento negate vengono di norma poi ribaltate in caso di ricorso al Tar. Nell’attesa di una più ampia riforma, forse almeno per le Forze Armate e di Polizia si può sperare in una revisione della normativa interna.

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