Difesa comune europea, Draghi: "Spesa insufficiente nell’attuale contesto geopolitico"

Difesa comune europea, Draghi: "Spesa insufficiente nell'attuale contesto geopolitico"

Mario Draghi ha presentato il report sulla competitività europea, tanto da fare per la Difesa. Le parole chiave: innovazione, ammodernamento e ricerca.

Mario Draghi ha presentato a Bruxelles il report sulla competitività dell’Unione europea, oltre 400 pagine che affrontano lacune e punti di forza, con raccomandazioni specifiche sui dossier economici principali. Tra gli obiettivi, la riduzione del gap tecnologico, l’innovazione e la diminuzione dei prezzi energetici, insieme all’aumento della produttività e coesione nel progetto europeo. Assumono grande rilevanza i “progetti europei di difesa di interesse comune”, su cui è necessario aumentare i finanziamenti per il campo “Ricerca e Sviluppo”.

Cambiamenti necessari secondo l’ex premier, che ne aveva sottolineato l’importanza già in più occasioni, coerentemente anche quanto sostenuto dal ministro della Difesa Guido Crosetto, nonché dai sindacati delle Forze Armate. C’è bisogno di maggiore impegno per la valorizzazione del personale e l’ammodernamento di mezzi e forniture, questo è ormai un dato di fatto.

La presentazione del rapporto ha suscitato consensi, ma è presto per capire se e quando i Paesi si adegueranno. Importante quindi sottolineare le parole di Paolo Gentiloni, che ha consigliato al prossimo Commissario economico - avendo mandato in scadenza a breve - di “essere molto ambizioso (...) come ci ricordano i rapporti di Enrico Letta e Mario Draghi dobbiamo avere un senso di urgenza per l’Europa”.

Il cammino verso la sicurezza europea, la difesa comune

Mario Draghi insiste sull’urgenza di impegnarsi nella difesa comune europea, visto “l’attuale contesto geopolitico”. Nel confronto con le potenze mondiali, perde la spesa militare dell’Unione europea, che nel 2023 è stata di un terzo rispetto agli Stati Uniti: 313 miliardi di dollari contro 916 miliardi, ma di poco superiore a quella cinese, di 296 miliardi di dollari. Anche se è ancora bassa rispetto agli obiettivi, infatti, il problema maggiore della spesa militare riguarda la sua destinazione.

A tenere la spesa bassa, inoltre, sono gli Stati che non hanno ancora raggiunto l’obiettivo del 2% del Pil. Soltanto 10 Paesi comunitari sono già arrivati al traguardo, mentre la maggioranza - Italia compresa - arranca. Nel complesso dell’Unione europea, però, proprio grazie all’impegno dei 10 Paesi suddetti e al fatto che molti degli altri sono quantomeno vicini alla soglia. Difatti, la spesa militare europea non è così bassa nemmeno se confrontata a quella russa, di circa 109 miliardi di dollari nel 2023.

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Serve però investire ancora nel campo della ricerca, lavorare duramente per spingere il progresso tecnologico e la digitalizzazione. Seppur la spesa europea per la Difesa non sia eccessivamente bassa, infatti, è evidentemente mal distribuita. Soltanto una minima parte della spesa militare dell’Ue è investita nella ricerca e nello sviluppo, in netta contrapposizione con le priorità statunitensi.

Allo stesso tempo bisogna intervenire per ridurre la frammentazione che dilaga nell’industria militare europea, uno dei fattori che incide maggiormente e in modo negativo sulla spesa militare. La presenza di numerosi ma piccoli operatori del settore limita difatti la produzione, ovviamente limitata, e anche il suo costo, che non può contare sulle economie di scala. Senza pensare al fatto che in questo contesto non è permesso un efficiente progresso e l’Italia è spesso costretta ad acquistare armi altrove, soprattutto dagli Stati Uniti.

Si accresce così il problema della mancata standardizzazione degli armamenti, che ostacola la collaborazione tra i militari dei diversi Stati europei e impedisce l’interoperabilità degli armamenti. Insomma, anche se diversi Paesi sono al lavoro per progetti comuni, la strada sembra ancora lunga per arrivare a un risultato soddisfacente. Anche perché, l’intervento necessario sulle risorse è piuttosto importante.

Prima c’è la definizione di priorità e progetti comuni, poi ci sono due strade possibili: i finanziamenti nazionali o nuove risorse proprie. Sarà la volontà dei Paesi membri di decidere come si vuole agire.

Questo il commento di Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione Ue, al report di Draghi. Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, invece, non si è espressa nel merito, limitandosi a dichiarare l’orgoglio per la rilevanza data ai talenti italiani (Mario Draghi ed Enrico Letta, chiamati a Bruxelles per il loro contributo).

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